“E dicono che in quel medesimo tempo, là dove ora si trova il tempio della Fortuna, fluì miele da un olivo, e gli aruspici dissero che quelle sorti avrebbero goduto grande fama, e per loro ordine col legno di quell'olivo fu fabbricata un'urna, e lì furono riposte le sorti, le quali oggidì vengono estratte, si dice, per ispirazione della dea Fortuna.”
(De Divinatione, Cicerone, XLI 86)
Palestrina, l’antica Praeneste.
Qui, in questa città laziale, sorse uno dei più maestosi santuari repubblicani, testimonianza dell’architettura del periodo.
Erano i tempi in cui, come materiali da costruzione, venivano prediletti il travertino, il tufo e il peperino, al posto dei futuri rivestimenti in mattoni, il cui grande uso sarebbe iniziato a partire dal I sec. d.C., con la conseguente nascita su scala industriale di fabbriche di mattoni e tegole.
Ma adesso è ancora presto, non siamo ancora arrivati a questo punto…ma in che periodo ci troviamo esattamente?
La prima datazione proposta per il santuario era stata quella sillana ma questa è stata successivamente messa in dubbio e anticipata a quella pre-sillana, di fine II sec. a.C.: ciò era avvenuto grazie allo studio di iscrizioni ritrovate su basi votive, recanti nomi di famiglie che a quanto pare non comparivano invece nelle iscrizioni della colonia al tempo di Silla.
Sarebbe stato così attestato il massacro, ad opera di Silla stesso, di tutti i maschi adulti di antiche famiglie del luogo, raccolti con l’inganno fuori della città…e insieme a questo la conferma di una datazione più alta!
Il santuario di Fortuna dovrebbe essere stato quindi costruito da gruppi associati di praenestini, desiderosi di celebrare le proprie ricchezze arrivate dall’Oriente grazie alle guerre e agli aumentati commerci. Ma il culto della dea doveva essere molto più antico, risalente addirittura al IV-III sec. a.C.: Fortuna Primigenia era la “prima nata” dei figli di Giove, al contempo madre e figlia del padre degli dèi. Era una divinità antichissima, forse precedente alla fondazione di Roma stessa, anche se i Romani attribuivano l’introduzione del suo culto al re Servio Tullio, il più favorito dalla Fortuna, a cui dedicò ben ventisei templi nella capitale.
Legato al culto era l’oracolo che estraeva i responsi, le sortes, alle domande che gli venivano poste, e da tutte le parti arrivavano fedeli a interrogare la dea!
E il santuario di Praeneste era uno di questi luoghi, forse il più grandioso dei templi repubblicani, composto da più terrazze e posto sui circa 90 m di dislivello che esistevano tra gli edifici pubblici del centro dell’antica Palestrina.
L’impianto ancora oggi risulta scenografico, sette livelli e sei terrazze che poggiano su un basamento in opera poligonale, il tutto calcolato perfettamente con il risultato di dare un notevole senso di misura e armonia: rampe porticate portano ai vari livelli e sono chiuse sul lato che si affaccia sulla valle in modo tale che lo spettatore, oggi come tanti secoli fa, arrivato, si trovava all’improvviso a contemplare estasiato il complesso e il panorama!
Alle prime due terrazze si accedeva direttamente dal Foro della città attraverso una serie di scalinate laterali delimitate da due grandi muri in opera poligonale: nella prima al centro vi era una grande nicchia che creava una falsa porta mentre la seconda era dotata di cinque vasche, precedute da quattro colonne, con annessi gli ambienti di servizio. La terza terrazza dava accesso a due monumentali rampe porticate, quasi il vero ingresso, chiuse da un muro verso valle e per metà coperte da volte, con semicolonne decorate da capitelli dorici: al centro, tra le due rampe, una terrazza aperta permetteva allo sguardo di spaziare sulle soprastanti terrazze superiori.
La quarta terrazza era la “terrazza degli emicicli”, nome derivato dai suoi elementi semicircolari, con un porticato in ordine ionico sul fondo ed esedre a destra e a sinistra: era questa terrazza il luogo in cui aveva sede il culto oracolare della dea, si trovava il pozzo sacro dove venivano scoperte le sortes della dea e, secondo le fonti, anche una statua di Fortuna mentre allatta Giove e Giunone. Erano le due esedre a incorniciare questi due elementi, a sinistra un basamento su cui doveva trovarsi la statua e a destra una piccola tholos che sormontata il pozzo profondo.
Al centro si apriva una ripida scala che portava alle due restanti terrazze: la “terrazza dei fornici” con un muro di fondo con semicolonne corinzie che inquadravano nicchie e finte porte in maniera alternata e la “piazza della cortina”, ampia, a “U”, forse ricoperta in passato da un bosco sacro, delimitata su tre lati da un doppio portico di ordine corinzio.
Al centro del lato di fondo di quest’ultima terrazza c’era una cavea teatrale e questa era coronata da un altro doppio portico, chiuso sul fondo da un muro, sopra il quale sorgeva il piccolo tempio circolare della dea, di cui restano solo le fondazioni.
Proprio qui, sul portico di fondo e la cavea, nel XII sec. sorse il palazzo Colonna-Barberini, oggi Museo Archeologico di Palestrina ospitante lo splendido Mosaico Nilotico.
Il santuario è un trionfo di bellezza, con scoperte dietro a ogni angolo e presenta quell’unione di luogo di culto e teatro che si ritrova anche in altri santuari laziali del periodo e a Roma nel Teatro di Pompeo unito al tempio di Venere, ma che ancor prima era testimoniata in ambito greco-orientale.
Proprio alla Grecia si deve questo impianto scenografico e diciamo che il desiderio di celebrare la dea che aveva permesso le conquiste orientali e l’arrivo di enormi fortune deve aver di certo soddisfatto la stessa Fortuna Primigenia, permettendo al santuario di giungere ancora meraviglioso e immortale fino a noi, mortali del XXI sec.!
Di Silvia Urtone
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