Il kouros, il “ragazzo”, è quell’elemento della statuaria greca che ci permette di seguire la svolta artistica che darà la spinta per arrivare alla “conquista dello spazio e del movimento”.
Ma, naturalmente, per comprenderla dobbiamo partire dall’inizio, a quando i primi kouroi vennero creati.
Ci troviamo nel VII sec. a.C., in piena età arcaica, e la statua maschile nasce da influssi provenienti dall’Egitto: è nuda, stante, senza particolari attributi che la caratterizzino, presenta la gamba sinistra leggermente avanzata in un timido accenno di movimento ma il peso poggia comunque su entrambe le gambe. Le braccia sono addossate al corpo, il volto dominato dal cosiddetto “sorriso arcaico”. È una figura calma, l’esempio della perfezione, l’uomo idealizzato privo di qualsiasi naturalismo.
Questo finché ad Atene non si arriva a quei decenni che segnano una vera e propria svolta, LA svolta, quelli tra il 510 e il 480 a.C., tra Clistene e le Guerre Persiane.
I tiranni Ippia e Ipparco sono stati uccisi ad opera dei celebrati Armodio e Aristogitone e, a quel periodo tragico, segue un nuovo ordinamento di carattere democratico istituito da Clistene, e in più, come se non bastasse, si arriva alla rivolta delle città ioniche contro i Persiani, un evento che porterà all’arrivo stesso dei Persiani in Grecia e allo scoppiare della guerra.
La drammatica sconfitta alle Termopili, la distruzione dell’Acropoli di Atene…la città affronta prove terribili per poi arrivare alle vittorie di Maratona, Salamina e Platea, dimostrandosi vera e propria salvatrice, baluardo per la Grecia e la conquista dell’agognata libertà.
Si rivelano anni estremamente decisivi sia per quanto riguarda la politica interna sia l’estera ma, oltre a ciò, segnano anche una svolta fondamentale per la scultura attica: si sperimenta, si cerca un nuovo linguaggio figurativo, qualcosa di nuovo che si distacchi dallo stile tipicamente arcaico e in effetti lo si trova!
È il nuovo clima che si respira a dare un input a questa ricerca: la fine della tirannide, l’inizio di un governo che apre le porte a nuovi elementi della società, una nuova presa di coscienza per Atene e i suoi cittadini, l’unione di tutti i Greci contro i Persiani…tutto questo apre le porte al rinnovamento.
Naturalmente non è immediato e generale, è legato anche alla sensibilità degli artisti e alla volontà dei committenti ma qualcosa si muove pian piano.
Avevamo lasciato il kouros arcaico, stante, perfetto e privo di attributi, ma nel 520-510 a.C. la Stele di Aristion ci comincia a dire che qualcosa sta cambiando: conservata al Museo Archeologico di Atene mostra tracce di policromia e un defunto che viene rappresentato non più come un kouros bensì come un guerriero, una figura specifica che mostra il suo ruolo all’interno della società. La resa stilistica è ancora tardoantica ma alcuni caratteri sono nuovi, come il fatto che sia barbato, che indossi un corto chitone e un elmetto attico, sotto il quale spunta un’acconciatura elaborata che lo identifica come un aristocratico. I particolari sono tracciati minuziosamente e l’opera resta priva di vita ma un primo passo è stato compiuto.
Uno ulteriore lo possiamo vedere nella Statua di Aristodikos, sempre al Museo di Atene, un monumento funerario che richiama l’arte arcaica ma cerca di creare un canone nuovo: il giovane è stante, frontale, la gamba sinistra è sempre avanzata e il peso ugualmente ripartito su entrambi gli arti ma le braccia appaiono scostate dal tronco e portate in avanti, in un tentativo di dare vita alla statua, di farla muovere nello spazio. La sensibilità e l’armonia cominciano a farsi spazio e la sperimentazione fa un secondo passo.
E poi arriviamo alla statua che cambia tutto, che determina l’abbandono dello stile arcaico in favore di una figura umana più organica, che segna il passaggio allo stile severo, anticipando addirittura il Canone di Policleto.
Si tratta dell’Efebo di Kritios, conservato al Museo dell’Acropoli e attribuito all’artista che insieme a Nesiotes aveva realizzato il Gruppo dei Tirannicidi: la provenienza è dubbia, la testa e il torso sono stati recuperati in due tempi diversi e la strana rottura alla base del collo farebbe pensare a una sorta di decapitazione. Probabilmente si trovava in loco al momento della distruzione persiana e sarebbe quindi da collocare in un momento di poco anteriore al 480 a.C.
Il giovane è stante, in appoggio sulla gamba sinistra mentre la destra è piegata, il ginocchio portato in avanti e non sostiene in questo caso il peso del corpo; alla gamba portante corrisponde la contrazione dell’anca sinistra mentre, per quanto riguarda le braccia, la destra è protesa in avanti a tenere un’offerta mentre la sinistra è a riposo lungo il corpo; i capelli sono lunghi e raccolti in due trecce che girano attorno al capo coperto sulla fronte da una frangia di riccioli a serpentina, mentre gli occhi sono a mandorla e con le palpebre ben delineate; la testa è leggermente girata e inclinata verso destra e tutto il corpo, estremamente vitale, è leggermente piegato in avanti.
Nel complesso gli elementi si ritrovano nel vecchio kouros arcaico ma l’armonia delle varie parti, la ponderazione e il movimento che sempre più si fa strada sono nuovi e non riconoscibili in opere precedenti!
Vi è qualcosa di completamente innovativo che si viene a creare, l’Efebo diventa il primo esempio di equilibrio delle membra, le quali appaiono tutte collegate tra di loro. Le spalle sono ancora orizzontali e non partecipano ai movimenti del resto del corpo ma la figura comincia a prendere vita.
Il soffio vitale è stato finalmente soffiato e il processo che porterà a Policleto e al movimento è cominciato…e nessuno potrà fermarlo.
Di Silvia Urtone
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