Di Silvia Urtone
C’era una volta l’Odissea, il meraviglioso racconto narrato da Omero delle avventure per mare dall’astuto eroe Odisseo…e l’Odissea sotto l’imperatore Tiberio si trasformò in marmo!
“Odissea in marmo”.
È così che viene definito il ciclo di sculture proveniente dalla grotta della villa di Tiberio a Sperlonga e oggi ricostruito e visibile nello stesso Museo Archeologico di Sperlonga: una delle testimonianze più affascinanti dell’arte antica per la conoscenza del meraviglioso mito di Odisseo.
Ci troviamo sulla costa del Lazio meridionale e qui, direttamente sul mare, si apre una grotta adattata artificialmente a ninfeo di una villa romana che sorgeva nelle vicinanze. La villa era quella dell’imperatore Tiberio e la grotta, in latino spelunca, diede il nome alla cittadina che oggi sorge nelle vicinanze, Sperlonga. In questa grotta l’acqua del mare, per volere di Tiberio, veniva fatta entrare artificialmente tramite la costruzione di un primo bacino che portava a una vasca circolare più interna; al centro del bacino di ingresso una piccola isola rettangolare era destinata ai banchetti imperiali, banchetti che avvenivano in un luogo magico e sacro pieno di statue ed eco di racconti di mare lontani. A detta di Tacito proprio in questo luogo nel 26 d.C. parte del soffitto crollò, rischiando di porre fine alla vita di Tiberio stesso!
Ma torniamo alle sculture, vere e proprie protagoniste della Grotta di Sperlonga.
Nel 1957, durante gli scavi per la costruzione della nuova strada litoranea Flacca, vennero ritrovati migliaia di frammenti che, riuniti e integrati, ci permettono oggi di vedere con i nostri occhi lo spettacolo dell’ “Odissea in marmo” che doveva circondare gli attoniti banchettanti, fornendoci al contempo un assaggio della scultura dell’avanzato Ellenismo.
Al centro della vasca, sull’isoletta artificiale, troneggiava il terrificante e colossale Gruppo di Scilla, scolpito in un unico blocco di marmo e raffigurante l’incontro/scontro di Odisseo e compagni con il mostro marino che viveva nello stretto di fronte a Cariddi e che uccideva tutti i naviganti che si avventuravano presso la sua caverna. Scilla qui emerge dalle acque, simile a una donna dall’inguine in su, brandisce con la sinistra un timone e con la destra afferra per i capelli il timoniere della nave cercando di trascinarlo in mare dove già si dibattono gli altri compagni di Odisseo; questi, in una rappresentazione di momenti diversi di una stessa azione, sono preda delle teste canine che spuntano dai tentacoli del mostro, i quali formano la parte inferiore del suo corpo. Sul ponte della nave, al di sopra del groviglio di corpi e tentacoli in acqua, si staglia Odisseo, in tutta la sua imponenza, il quale cerca di colpire il mostro con una lancia.
Ai lati della vasca erano altri due gruppi, narranti due episodi delle Metamorfosi di Ovidio: uno è il “Pasquino”, ossia Odisseo che trascina via dalla battaglia il corpo in fin di vita di Achille, colpito al tallone da Paride, mentre il secondo è il Ratto del Palladio, ossia il furto della sacra statua di Atena da Troia ad opera di Odisseo e Diomede (qui il primo estrae la spada avvicinandosi al secondo che aveva rubato la statuina).
Superata la vasca circolare, sul fondo della caverna, un piedistallo ospitava il gruppo più grande, il Gruppo di Polifemo, oggi ricostruito con i resti originali e un calco in gesso e resina, con la rappresentazione dell’accecamento dell’enorme ciclope addormentato ad opera di Odisseo e dei suoi compagni, uno degli episodi più belli e conosciuti del poema epico. Domina il tutto l’enorme corpo del mostro, addormentatosi per il troppo vino e steso obliquamente su una roccia, il capo abbandonato all’indietro; sulla sinistra i compagni di Odisseo spingono un palo appuntito verso il suo unico occhio e lo stesso eroe lo dirige con entrambe le mani all’apice di una piramide che viene a crearsi dall’insieme delle figure; sulla destra il compagno che aveva portato l’otre di vino sembra ritrarsi dall’azione che si sta per svolgere, il braccio sollevato a proteggersi gli occhi e il corpo quasi in fuga: tutti i personaggi sono tesi nell’esecuzione dell’azione e la drammaticità è palpabile.
Chi ha realizzato questa “Odissea”?
Nel Gruppo di Scilla ci sono le firme degli scultori, Agesandro, Atanodoro e Polidoro, gli stessi che secondo Plinio avevano scolpito il Laocoonte e che qui a Sperlonga firmano una copia.
Perché sì, i gruppi sono probabilmente frutto di copie marmoree di originali bronzei di età ellenistica!
E tutta la disperazione e il pathos che si possono ammirare nel Laocoonte del Vaticano sono qui: la testa del timoniere afferrato da Scilla ricorda nella sua patetica espressione quelle dei figli del sacerdote; i corpi che tentano di divincolarsi dalle spire del mostro assomigliano a quelli che cercano di liberarsi dal serpente mandato da Poseidone; la meravigliosa testa di Odisseo, con il pileo, il copricapo del navigante, con un’espressione resa intensa dall’approfondimento delle orbite, la bocca semiaperta nella tensione del momento e i muscoli irrigiditi nello sforzo di accecare il ciclope, assomiglia a quella del Laocoonte stesso.
La drammaticità, il mito e la fantasia trovano in questa grotta una combinazione estremamente vincente e, guardando questa meravigliosa “Odissea in marmo” non si può fare a meno di pensare a quanto gli ospiti di Tiberio fossero fortunati a banchettare nel bel mezzo del poema epico!
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