Generalmente si è portati a pensare che la Tarda Antichità sia un periodo buio ed essenzialmente di decadenza per l’Impero Romana, quell’età di tragico passaggio tra lo splendore del mondo antico e l’oscurità del Medioevo.
Ma non è del tutto vero e, nonostante crisi e guerre, testimonianze di una vitale produzione artistica ci sono arrivate anche da questi secoli, segno di un’età stimolante dal punto di vista culturale.
Un esempio lampante è la decorazione in opus sectile che ci è arrivata da Porta Marina, Ostia antica, un rivestimento variegato di pareti e pavimenti realizzato con lastre di marmi diversi e tagliati in varie forme e dimensioni, disposte in modo tale da formare complicati disegni geometrici o figurati.
Il meraviglioso ritrovamento avvenne nel 1949 con il rinvenimento dei primi reperti, fra i quali spiccava la figura di un leone, ma la campagna di scavi riprese solo nel 1959 e fino al 1966 ebbero luogo i primi restauri; in seguito i pannelli di marmo vennero conservati al sicuro in un magazzino, rimanendovi celati fino al 1999, anno in cui fu necessario un ulteriore restauro; alcuni furono esposti ad una mostra a Palazzo delle Esposizioni e, in seguito, tutti vennero finalmente resi visibili e portati nel museo dell’Alto Medioevo, istituito nel 1967 dal Ministro della Pubblica Istruzione nel Palazzo delle Scienze all’Eur.
Ancora oggi è visitabile in questo museo che, purtroppo, per i motivi citati all’inizio, è piuttosto sottovalutato…ma, dopo reperti provenienti da necropoli e insediamenti post romani, frammenti di stoffe colorate e ricche testimonianze del patrimonio tardoantico, il visitatore che si avventura nel museo giunge in sale in cui si possono contemplare i bellissimi ritrovamenti marmorei di Porta Marina, la zona di Ostia antica che in epoca romana era praticamente sul mare.
Fotografie e mappe del luogo di scavo fanno rivivere quella campagna che portò alla riscoperta di un luogo suggestivo e accompagnano infine nell’aula della domus, databile al IV sec. d.C., in cui non si può non rimanere esterrefatti per l’ambiente qui interamente spostato.
L’aula della domus di Porta Marina è giunta relativamente integra e ciò è stato possibile grazie al fatto che essa non si è rovinata nel tempo e non è stata depredata, bensì crollata su se stessa in fase di costruzione, quando non era ancora stata ultimata. Come prova di ciò ci sono parti di pavimento mancanti e la presenza addirittura nel luogo di materiali pronti per essere utilizzati e di buche create per lo spegnimento della calce: tutto è crollato, è stato ricoperto dalla sabbia ed è rimasto intatto fino al suo rinvenimento a metà del Novecento.
I motivi del crollo sono purtroppo sconosciuti come anche il perché della mancata ricostruzione dell’edificio vista la cura a lui dedicata, e sono state fatte ipotesi che vanno da un errato calcolo strutturale a un abbattimento avvenuto per motivi religiosi o politici. Il ritrovamento di due monete di bronzo ha portato gli studiosi a datare il luogo negli anni successivi al 388 d.C. e il crollo tra il 394 e il 400 d.C.
Ecco che un capolavoro tardoantico, un’aula interamente ricostruita nel museo, si apre davanti ai nostri occhi.
L’aula misura circa 7×6 m, un vano rettangolare con un’esedra quadrangolare sulla parete di fondo (6×4 m), tutta completamente rivestita di marmi policromi con disegni geometrici, gruppi di animali esotici e non in lotta, figure umane, motivi simbolici e fregi floreali, mentre il pavimento è decorato con ottagoni, cerchi, stelle e altre figure geometriche. I marmi usati sono estremamente preziosi, i più usati nel periodo, dal pavonazzetto al porfido rosso egiziano, dal serpentino al porfido giallo, dall’alabastro al cipollino, in una girandola di colori provenienti da tutto il mondo. Il soffitto è invece quasi del tutto scomparso e doveva essere un mosaico di colore verde e azzurro con tralci di vite ricoperti di oro.
La sala estremamente lussuosa doveva essere stata voluta da una persona ricca di grado elevato al fine di poter accogliere i suoi ospiti e stupirli con lo sfoggio delle sue ricchezze, ed è davvero un peccato che ciò non sia potuto accadere…ma ospiti di tanta beltà siamo comunque noi visitatori del museo!
Tra le scene di felini all’assalto di prede, due figure in opus sectile estremamente interessanti sono quelle di due busti: quello di un giovane aristocratico dai ricci capelli e con una tunica bordata d’oro e quello di un adulto dallo sguardo penetrante, con barba, capelli lunghi, una tunica bianca, la mano in gesto benedicente e un nimbo attorno al capo.
Chi sono e, soprattutto, chi è la figura nimbata?
In questa l’interpretazione tradizionale vede un Cristo benedicente anche se mancano chiari segni di identificazione, come per esempio la croce, ma un’ipotesi più recente, avvenuta anche sulla base di ritrovamenti tardoantichi simili in case greche e dell’Asia Minore, lo vedrebbe come un maestro “divinamente ispirato” della filosofia neoplatonica, molto diffusa nel IV d.C.
Il contesto, purtroppo, non può darci suggerimenti riguardo l’orientamento religioso del proprietario della domus e quindi l’interrogativo rimane senza risposta.
Ma non lo rimane la domanda se l’arte della Tarda Antichità possa riservare al mondo delle splendide sorprese artistiche.
E la risposta è “sì”.
Di Silvia Urtone
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