Di Silvia Urtone
Roma. La Città Eterna. La città dal glorioso passato. La città il cui nome è conosciuto da secoli e secoli.
Ma quando troviamo il suo nome inciso per la prima volta sopra un manufatto artistico?
Lo troviamo su una cista, una sorta di cestello contenente oggetti di vario tipo…non appartenente all’arte romana!
Ma procediamo con calma e presentiamo l’oggetto del nostro viaggio nel passato di Roma.
Il suo nome è Cista Ficoroni e fu ritrovata nel 1738 a Palestrina, nel Lazio, da Francesco de’ Ficoroni, un antiquario che le diede il proprio nome; a seguire passò al Museo Kircheriano per poi finire all’interno della ricca collezione del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, Roma, dove si trova ancora oggi.
La Cista Ficoroni era un dono, probabilmente di nozze, fatto da una madre a una figlia amata che stava per lasciare la casa natale: recipiente cilindrico di rame (erroneamente detto di bronzo) è stato usato per riporre gli oggetti da toilette della fanciulla, dal pettinino d’avorio al fedele specchio di metallo in cui rimirarsi, dalle scatolette con le ocre per tingersi e nascondere le imperfezioni ai vasetti con conturbanti profumi, fino a preziosi orecchini e collane d’oro.
La matrona, di una nobile famiglia prenestina, una certa Dindia Macolnia, aveva commissionato l’oggetto a un artigiano probabilmente di origini campane, Novios Plautios, e queste preziose informazioni ci vengono comunicate dalla stessa cista sul cui coperchio si può trovare scritto: “Dindia Macolnia fileai dedit / Novios Plautios med Romai fecid.” ossia “Dindia Macolnia mi donò alla figlia / Novios Plautios mi fece in Roma”.
Il latino non è ancora quello classico, è arcaico, le evoluzioni fonetiche non sono complete, ma l’iscrizione ci dice tutto quello che abbiamo bisogno di sapere: l’opera è stata fatta a Roma ma non è frutto dell’arte romana, non è “di Roma”, è stata fatta da un artista campano, come rivela il nome, ed è testimonianza dell’arte che si produceva nella città a quel tempo, un tempo che è fine IV-inizio III sec. a.C.
La Cista Ficoroni, con i suoi 77 cm di altezza, costituisce finora il miglior reperto conosciuto per qualità, dimensioni, stato di conservazione e ricchezza decorativa di cista etrusco-italica!
Ed ecco che il nome di “Roma” viene a trovarsi per la prima volta su un’opera non romana ma appartenente a un’altra cultura, frutto di mescolanze che vengono a creare un manufatto unico e meraviglioso.
Di forma cilindrica e ricca di finissime incisioni sul coperchio e sul corpo, ha parti di bronzo fuso applicate tra cui tre piedini (uno rifatto in epoca moderna), ciascuno con i personaggi di Eracle, Iolao e Eros, e tre figurine a tutto tondo poste sul coperchio (Dioniso e due satiri) in qualità di manico. Il coperto è decorato da tre fregi concentrici, una scena di caccia, forse la mitica caccia al cinghiale calidonio in cui più eroi furono coinvolti (il più esterno), due scene di assalto di animali, con protagonisti un grifo e un leone (il medio) e una raffigurazione floreale a forma di croce (il più interno).
Anche il corpo è totalmente coperto da ricche decorazioni piene di virtuosismo e precisione, e anche qui vi è una suddivisione in tre fasce, due a tema vegetale e una a tema mitologico: quella superiore ha una doppia serie, dritta e rovescia, di palmette e fiori di loto che circondano piccole teste di Gorgone, quella inferiore ha un doppio bordo decorato con kyma lesbio e kyma ionico e, all’interno, grandi sfingi alternate a palmette e fiori di loto…e, al centro, il fregio più importante, quello mitologico, che racconta una parte della famosa saga degli Argonauti con protagonista Polluce.
Polluce e Castore erano i Dioscuri, figli di Zeus, il primo famoso per le sue doti di pugile e il secondo per quelle di domatore di cavalli. Questi compirono insieme agli Argonauti l’incredibile viaggio verso la Colchide alla ricerca del Vello d’oro e in una delle varie imprese Polluce sconfisse in un incontro di pugilato il re dei Bebrici, Amico: il re era solito attaccare gli stranieri in arrivo nel suo regno colpendoli a morte coi suoi pugni ma, sconfitto da Polluce, venne risparmiato in cambio della promessa di rispettare d’ora in poi chiunque approdasse sulla sua isola.
Questa è la scena protagonista del fregio della Cista…ma le scene sono ben 3 e tutte su uno sfondo roccioso!
Nella prima Polluce, sotto lo sguardo della dea Atena, e circondato a destra e a sinistra da due coppie di spettatori, lega Amico a un albero, mentre una Nike gli porta una corona in quanto vincitore; nella seconda, in mezzo a varie anfore, degli Argonauti bevono e si allenano presso una fonte; nella terza tre Argonauti sulla nave Argo: tre scene staccate ma sempre legate alla stessa saga e rappresentate con virtuosismo e maestria!
La storia degli Argonauti viene narrata in una variante italica e trattata con lo stile della pittura greca di VI-V sec. a.C., il gruppo bronzeo sul manico si ispira alla scultura greca di IV a.C., la forma dell’oggetto è tipicamente prenestina…la Cista Ficoroni è una vera e propria mescolanza di stili e culture e un prodotto unico e inestimabile.
È testimonianza pura e semplice di quello che si produceva a Roma alla fine del IV sec. a.C.
Non è ancora arte romana ma la già nominata Roma avrà ben presto occasione di produrre meraviglie a sua volta!
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