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Emozione Arte

La Nike di Samotracia ovvero quando la bellezza arriva in volo in mezzo agli uomini

Di Silvia Urtone



Oggi andiamo a Parigi, al meraviglioso e unico Museo del Louvre.

Scendiamo sotto la piramide che ci accoglie imponente e colpita dai raggi del sole.

Giriamo a destra e iniziamo a percorrere un corridoio…ed eccola lì.

Maestosa, che pare quasi scendere con un passo di danza dal cielo, compare davanti ai nostri occhi stupefatti la Nike di Samotracia.

È lì in alto, collocata in cima allo scalone progettato da Hector Lefuel per collegare la Galerie d’Apollon e il Salon Carré: una maestosa fanciulla senza volto alta 2.75 m.

Ovviamente non è sempre stata qui.

Proviene dall’isola di Samotracia e il suo ritrovamento risale al 1867…ad opera di un francese! Il viceconsole Charles Champoiseau, mentre gli operai erano impegnati a far emergere la facciata del Santuario dei Grandi Dèi di Samotracia, passeggiava a circa 50 m dal sito e venne attratto dal candore di un marmo che emergeva dal suolo. Liberato, questo si rivelò essere un seno delicato a cui seguì, dopo scavi, il ritrovamento di una splendida donna alata.

Era ridotta in più frammenti e all’interno di una vasca circolare nel santuario innalzato dai Cabiri nell’isola sperduta nella parte settentrionale del mare Egeo. All’inizio del Novecento la scoperta di nuovi blocchi marmorei portò all’idea che la fanciulla alata poggiasse su una sorta di prua e che questa fornisse un vero e proprio piedistallo!

Ricomposta in Francia, la Nike venne esposta dapprima nel buio angolo della Sala delle Cariatidi al Louvre, attraendo sguardi e ammirazione da parte dei molteplici visitatori, per poi essere spostata in cima al già menzionato scalone.


NIke di Samotracia, Louvre, Parigi


Eccola: una fenice risorta dalle ceneri che erano il suolo di Samotracia e che, mutilata e priva di testa, trasporta il visitatore indietro nel tempo, quando uomini e dèi erano strettamente intrecciati.

E arriviamo all’occasione per cui questa Nike, questa Vittoria, venne creata.

Una delle interpretazioni è che fosse collegata a una delle vicende belliche che segnarono il passaggio tra il III e il II sec. a.C.: datata al 190 a.C. sarebbe stata voluta dagli abitanti di Rodi per celebrare la loro vittoria navale su Seleuco al largo di Side. Un’altra interpretazione vede somiglianze tra la Nike e la sua rappresentazione sulle monete macedoni di Demetrio Poliorcete, coniate dopo la sua vittoria su Tolomeo a Salamina di Cipro nel 306 a.C.

Quello che però resta innegabile è che la Nike di Samotracia sia una delle opere più sensazionali di tutta la produzione plastica ellenistica.

Perché sì, siamo nel periodo ellenistico, il centro politico e culturale di Pergamo si era ormai affermato in Asia Minore e la dea raffigurata in marmo pario secondo il modello classico doveva presentarsi mentre scendeva impetuosa sulla prua di una nave, dominando una vasca: la massima celebrazione di una vittoria navale.

Osserviamola.

Acefala e senza braccia, la dea alata, figlia del titano Pallante e della ninfa Stige, atterra impetuosamente e velocemente sulla prua. Il passo ampio, le penne delle ali e il panneggio delle vesti indicano la velocità del movimento.

Uno strano vento investe la figura che, con la gamba sinistra indietro, protende il petto in avanti. Il chitone aderisce al corpo, luce e ombre giocano tra le pieghe… un “effetto bagnato” viene a crearsi, un effetto che amplifica l’idea del movimento e la sensualità della dea: il pesante chitone dalle grosse pieghe sembra diventare un velo leggero e trasparente che, a causa della velocità del volo, si schiaccia contro le parti più avanzate del corpo e disegna con virtuosismo e precisione le forme sensuali di Nike.



Le braccia, come la testa, sono andate perdute ma a sostenerla nella discesa vi sono delle grosse ali spalancate. Queste e il piede destro poggiato con leggerezza sulla nave indicano un volo finito, un volo che termina sulla prua e sembra portare ai vincitori di Rodi tutta la gioia e la soddisfazione degli dèi dell’Olimpo.

Grazie ad alcuni frammenti delle mani ci si è fatti l’idea che il braccio destro fosse abbassato a reggere il pennone della nave, appoggiato alla spalla stessa, e il braccio sinistro sollevato in un gesto di saluto oppure a reggere una corona.

La celebrazione di una vittoria navale.

Il dinamismo e l’abilità dell’esecuzione vengono ad unirsi in un’opera che concilia i caratteri dei grandi artisti dei decenni precedenti, dal panneggio quasi vivo che richiama i lavori di Fidia agli effetti di trasparenza e leggerezza di Prassitele alla tridimensionalità tipica di Lisippo.

La Nike di Samotracia ancora oggi da quella scalinata al Louvre rende omaggio alla vittoria di una potenza navale, incanta con le sue forme perfette e quell’effetto delicato, ma ancora di più parla di un tempo perduto in cui la bellezza viveva in mezzo all’uomo e in cui gli dèi sembravano camminare in mezzo ai mortali sotto forma di statue.

La Nike di Samotracia ci ricorda la bellezza che l’uomo può creare con le sue mani.


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