L’Iliade di Omero è destinata a riecheggiare nei secoli. Per sempre.
La storia della guerra e della caduta di Troia è stata narrata ovunque, separando barriere e arrivando fino ai confini del mondo conosciuto, ha ispirato generazioni e artisti, menti e cuori.
Ma come iniziò? Quale fu il fattore scatenante?
Una donna e l’ira di un uomo.
La donna si chiamava Briseide, era figlia di Briseo, sacerdotessa troiana del dio Apollo e moglie di Minete, re di Cilicia. Ella durante la guerra venne presa da Achille come bottino quando questi distrusse Lirnesso, alleata di Troia: il marito era stato ucciso dal suo nuovo padrone, Briseide divenne sua schiava e amante e i due, nonostante i presupposti, si amarono.
Agamennone a sua volta catturò Criseide, figlia di Crise, sacerdote di Apollo, ma il gesto fece adirare il dio che mandò una pestilenza che colpì solo il campo degli Achei…e così il comandante fu costretto a restituire la sua schiava.
Ma in cambio pretese Briseide.
C’era rivalità tra Achille e Agamennone e il secondo voleva dimostrare la sua superiorità nonostante la profezia che solo grazie ad Achille si sarebbe sconfitta Troia.
Briseide passò ingiustamente ad Agamennone ma questo scatenò l’ira funesta di Achille che da quel momento abbandonò la guerra e per un anno intero perseguì il suo intento nonostante lusinghe e tentativi di risoluzione: i Greci perdevano uomini, Troia avanzava, Agamennone tentò di restituire all’eroe Briseide e altri doni, giurando di averla tratta con rispetto…ma nulla, Achille rimase fermo sulle sue posizioni fino a quando l’amato Patroclo non venne ucciso da Ettore.
La storia di Achille e Briseide venne narrata più e più volte e oggi la andiamo a studiare su due esemplari, distanti tra loro.
Appartenente all’età classica, l’età della supremazia ateniese a seguito della vittoria sui Persiani, è una splendida anfora a figure rosse, trovata a Vulci e oggi conservata al Museo Gregoriano Etrusco, Città del Vaticano. Questa risale al 440 a.C. e si deve al cosiddetto Pittore di Achille, per questa sua opera caratteristica, la più famosa: qui si stagliano su ciascun lato due figure isolate, quella di Achille e quella di Briseide. Achille è stante, in posa statuaria ed eroica, armato di spada e lancia e rivestito con la sua corazza, indossata sopra un leggero chitone, il volto espressivo, i dettagli resi con minuzia e maestria, mentre Briseide è colta nell’atto di compiere una libagione: le due scene emanano serenità, la serenità tipica del periodo, in cui personaggi ideali e imperturbabili appaiono distanti dalla sofferenza e dai loro tragici destini. E così Achille e Briseide sono fermi nel tempo, tranquilli e senza l’incombere di un orribile destino che li vede protagonisti.
Ma questa calma lascia spazio al dramma e all’ingiustizia nella pittura della Casa del Poeta tragico di Pompei, oggi al Museo Archeologico Nazionale, Napoli.
La domus che ospitava l’opera, anche se di dimensioni ridotte, era una delle più eleganti e riccamente decorate di Pompei, con atrio tuscanico e situata al limite settentrionale della città, nella Regio VI. Il proprietario probabilmente era un certo Anino, membro di una delle famiglie della nuova classe senatoria emergente e il nome era dovuto alla decorazione musiva raffigurante la prova teatrale di un coro satiresco. Costruita nel II sec. a.C., la sua decorazione venne interamente rifatta dopo il sisma del 62 d.C. e ancora oggi sono visibili molte raffigurazioni, da Arianna abbandonata da Teseo, all’ingresso col “Cave Canem” e all’atrio decorato con soggetti mitologici quali Zeus ed Era e gli stessi Achille e Briseide.
Qui il momento narrato è quello dell’episodio stesso che apre l’Iliade: la consegna di Briseide ad Agamennone sotto lo sguardo irato di Achille.
Più personaggi compaiono all’interno di un ambiente chiuso, disposti su più piani in una resa ben riuscita della profondità. L’eroe è seduto sulla sinistra, ha un torace ampio e muscoloso e volge il capo verso la figura femminile a destra, velata e mesta, che sta per essere portata via. Tra di loro, di spalle e in primo piano, c’è Patroclo mentre dietro si volge verso Achille Fenice, suo vecchio consigliere, che tenta di frenare la rabbia dell’eroe. Ancora più dietro c’è la folta schiera di armati venuta a prendere Briseide, stagliata davanti alle strutture del campo militare.
Le figure sono immobili, bloccate in un tragico attimo sospeso nel tempo. La tensione è palpabile, non c’è la serenità del Pittore di Achille. Achille guarda intensamente Briseide, trattenendo la rabbia, la donna è mesta e preoccupata, Fenice e Patroclo temono che l’eroe possa scoppiare e combattere.
È una scena sospesa nell’incertezza se opporsi o meno all’ingiustizia che si sta compiendo.
Tutto si rifà allo stile della pittura di seconda metà del IV a.C., l’età di Alessandro Magno, e l’opera pompeiana dovrebbe proprio essere copia di un quadro realizzato dai grandi pittori del periodo…ma mancano fonti per confermare la cosa, abbiamo solo i nostri occhi che portano a collegare l’opera a quel periodo.
Dalla calma alla tragicità la storia di Achille e Briseide arriva dal V a.C. al I d.C., portando con sé la bellezza di una storia senza tempo capace ancora di stregare e far innamorare.
Di Silvia Urtone
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