Di Silvia Urtone
La mitologia è un terreno estremamente fertile: basta chiederlo all’arte greca!
Una delle figure eroiche più conosciute e amate, descritte e celebrate anche da Omero, è Achille, figlio di Peleo e Teti, destinato a coprirsi di gloria e a morire giovane.
Un eroe estremamente fragile e tragico.
A costui è collegata una figura femminile, coraggiosa e tragica come lo stesso eroe: Pentesilea, regina delle Amazzoni. È dell’incontro di questi due personaggi che andiamo ora a parlare.
Pentesilea era figlia del dio della guerra Ares e presto si macchiò di un terribile delitto uccidendo, in una rissa durante il banchetto nuziale di Teseo e Fedra, la sorella Ippolita; la fanciulla invocò la morte e, perseguitata dalle Erinni, fuggì a Troia per farsi purificare da Priamo. Qui si trovò nel bel mezzo della celebre guerra di Troia e qui venne trattenuta. Condannata dalla dea Afrodite ad essere violentata da tutti gli uomini che la vedevano si nascose dietro a un’armatura e, distintasi per il suo coraggio, divenne la regina delle Amazzoni, le donne guerriere. Proprio sul campo di battaglia venne a scontrarsi con l’invincibile Achille e, da questi, venne uccisa.
Le versioni riguardanti il loro incontro sono molteplici: secondo una Achille, colpito dal coraggio della fanciulla, restituì il suo corpo ai Troiani affinché le dessero una degna sepoltura; secondo un’altra egli, dopo averla uccisa e spogliata delle armi, la desiderò, si unì a lei, macchiandosi di necrofilia, e volle poi seppellirla ma i guerrieri greci si opposero e finì che il corpo della regina divenne pasto per i pesci.
Secondo un’ultima versione, la più conosciuta, Achille si innamorò di Pentesilea nel momento esatto in cui, colpita a morte da lui, la vita stava abbandonando il suo corpo: una tragedia vera e propria!
Ora, come veniva rappresentata nell’arte greca questa fiera e indomita regina delle Amazzoni?
Inizialmente, appunto, come donna indomita, degna avversaria di Achille ma sconfitta da questi. È solo con i ceramografi attici, in primis Exechias, che ad essere centrale è la tragedia che coinvolge Pentesilea e Achille e la storia dei due guerrieri diventa una storia di amore e morte, ben distinguibile dagli altri episodi di Amazzonomachia.
Ed eccoci giunti ad Exechias, l’artista attico che nelle sue ceramiche ha voluto parlare della tragica storia dei due eroi!
Pittore della seconda metà del VI sec. a.C., Exechias, in un periodo in cui andava diffondendosi a macchia d’olio la nuova tecnica a figure rosse, continua a dipingere nella vecchia tecnica a figure nere, una tecnica di cui è maestro, sia per il tratto sia per la tensione dei disegni e dei suoi personaggi; è un artista pervaso dello spirito eroico dei poemi omerici, incantato specialmente da eroi drammatici come Aiace e Achille, e dai temi della vita, della morte e della religione.
Egli sceglie di rappresentare l’attimo, un attimo estratto con sapienza da eventi significativi, quello immediatamente precedente o immediatamente successivo all’azione, l’attimo in cui l’indagine psicologica dei personaggi può essere compiuta al meglio: tutto ciò è quello che fa di lui un poeta vero e proprio, il “tragediografo della pittura vascolare”!
Uno dei drammi che Exechias affronta è proprio quello di Achille e Pentesilea, e lo fa sull’anfora ritrovata a Vulci, risalente circa al 540-530 a.C. e conservata oggi al British Museum di Londra.
Sull’anfora vengono colti Achille e Pentesilea nell’attimo fatale, l’attimo in cui l’eroe sferra il colpo mortale all’amazzone e al contempo si innamora di lei perdutamente e senza speranza. La regina delle Amazzoni ha la pelle bianca, segno distintivo delle donne, ha un ginocchio a terra, si sostiene con lo scudo ed è sovrastata da Achille, l’Uomo: è vinta, la sua forza, le sue armi e la sua femminilità hanno fallito e sta per soccombere, un braccio alzato che tenta di difendersi inutilmente con le ultime forze e una lancia. Ella ha perso la spada, indossa un ricco elmo e una corazza decorata che accentua le sue forme di donna, e ha uno sguardo patetico volto verso colui che la sta uccidendo e che la tiene totalmente in suo potere. Achille è possente, dalle cosce muscolose e armato di elmo, corazza, scudo e schinieri, completamente nero e terribile, chiuso nella sua armatura invincibile: con forza sta per trafiggere mortalmente la regina ma al contempo si innamora tragicamente di lei, senza potersi fermare in tempo!
Pentesilea è ormai in fin di vita, la vita la sta abbandonando e Achille può solo piangerla e piangere il suo triste destino.
L’associazione donne-guerra è un tema che la società greca non vedeva di buon occhio ma Exechias lo affronta con estremo successo creando una scena di pathos estremo difficile da guardare con indifferenza.
Tra due fasce floreali, sopra e sotto, si viene a collocare il triangolo formato dai due combattenti, la lance si incrociano così come gli sguardi dei due protagonisti, i cui nomi sono scritti accanto.
La paternità dell’opera è sicuramente di Exechias: un “mi fece Exechias” lo possiamo leggere con estrema chiarezza.
Vi è una certa durezza nei passaggi di piano tra visione di profilo e visione frontale delle figure ma la ricchezza e accuratezza dei dettagli e la capacità dell’autore di cogliere il perfetto momento sospeso fanno dell’anfora un capolavoro di tensione figurativa!
È qui raccolto tutto il dramma della storia di Achille e Pentesilea e nessuno avrebbe potuto raccontare così bene la loro storia se non il “tragediografo” Exechias.
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