Di Silvia Urtone
A Venezia, lì, nella parte di Piazza San Marco che si affaccia sul Bacino, proprio lì nell’angolo della Basilica di San Marco che conserva tra le sue mura il Tesoro, c’è una statua in porfido rosso con quattro enigmatiche figure, a due a due strette in un abbraccio, due su un angolo e due sull’altro.
Le quattro statue sono conosciute con il nome di Gruppo dei Tetrarchi e, secondo la tradizione veneziana, come i “quattro ladroni”: una leggenda popolare narra che i quattro protagonisti fossero dei ladri sorpresi dallo stesso San Marco a tentare di rubare il tesoro custodito all’interno della chiesa, e che questi li avesse fulminati, pietrificati e murati sul posto. Da quel momento sono all’angolo della basilica, a protezione del tesoro del santo e monito eterno per eventuali malintenzionati!
Di contro a questa tradizione tra fiaba e folclore la critica contemporanea propende per identificare le quattro figure con quelle dei Tetrarchi di età dioclezianea, due augusti e due cesari stretti in un rassicurante abbraccio, per altri una simbolica unione tra parte occidentale e parte orientale dell’Impero.
Ma in che periodo storico ci troviamo?
Siamo nella seconda metà del III sec. d.C., l’età della tardoantichità, un’età ricca di stravolgimenti, lotte e ultimi tentativi di tenere insieme un impero in procinto di disgregarsi, cosa che in effetti accadrà non molto tardi. Dopo la morte di Alessandro Severo e un’anarchia militare che regna per 50 anni giunge al potere nel 284 d.C. Diocleziano, il quale prova a ritardare la crisi dividendo il grande impero romano in due parti, quella Orientale e quella Occidentale: il 293 è la nascita della Tetrarchia, il governo dei quattro. Le due parti sono rette da due Augusti, Diocleziano e Massimiano, e da due Cesari, Costanzo Cloro e Galerio, questi ultimi adottati formalmente come successori e futuri Augusti.
Il legame che viene a instaurarsi tra i quattro sovrani è estremamente forte ma purtroppo l’idea di Diocleziano rimane un fallimento e il potere è destinato a passare in seguito al figlio di Costanzo Cloro, Costantino I il Grande.
Testimonianza di questo tentativo della Tetrarchia e dello stile della tardoantichità è il Gruppo dei Tetrarchi, somma di quella profonda trasformazione politica, sociale e culturale che interessò anche il linguaggio artistico e condusse dall’antichità al medioevo. L’arte esce grandemente cambiata, rompendo definitivamente con la tradizione naturalistica dell’arte greca, fino a quel momento centrale, dando origine a quella che in seguito sarà propria dell’arte bizantina. L’arte tardoantica si sviluppa dall’arte plebea, abbandona il naturalismo per il simbolismo, le proporzioni tra figure non sono più secondo natura ma secondo la gerarchia dei personaggi raffigurati, l’uso del trapano aumenta e crea forti giochi e contrasti di luci e ombre, si afferma la posizione frontale donando un’impostazione rigida alle figure: è la svolta anticlassica a favore di figure piatte e rigide, senza connotazioni fisionomiche, prive di realismo e di prospettiva ma ricche di significati e simboli facilmente comprensibili.
Tutto questo viene a trovarsi nel Gruppo dei Tetrarchi, risalente circa al 300 d.C., attribuito a maestranze egiziane, proveniente dalla piazza monumentale del Philadelphion di Costantinopoli e trasportato come bottino a Venezia dopo la conquista e il saccheggio della città nelle crociate del 1204.
Alte 1.36 m le quattro figure in altorilievo dei tetrarchi sono in porfido rosso egiziano, materiale prezioso che, sin dall’età di Tiberio, veniva associato alla figura imperiale e usato solo per rappresentazioni di questo tipo, ricordando la porpora, segno della maestà imperiale. I due Augusti e i due Cesari dovevano trovarsi sulla cima di colonne a un’altezza di circa 8 m, a contemplare i passanti e a ispirare col loro abbraccio un senso di fiducia e di fraternitas, una piccola parentesi di pace e possibile prosperità a seguito dei tumultuosi scontri tra imperatori nell’ultimo secolo.
Tutti e quattro hanno lo stesso abito, portano il copricapo pannonico, il paludamentum e la corazza, anticamente abbellita con foglie d’oro; in mano impugnano saldamente una spada riccamente decorata, sulla cui elsa si staglia una testa di aquila; l’atteggiamento è rigido e impassibile e ricorda le divinità orientali, i volti hanno pochissimi caratteri distintivi che però non consentono l’identificazione, le sopracciglia sono aggrottate e i grandi occhi guardano lontano, quasi i quattro sovrani fossero in contatto diretto con il divino stesso. Uguali tra di loro gli Augusti hanno solo due piccole differenze rispetto ai loro successori più giovani: sono barbati, ad indicare la loro età più anziana, e poggiano la mano destra sulla spalla sinistra del Cesare vicino, quasi a volerlo proteggere e ad indicare la propria maggiore autorità.
Stilizzazione, ricco volume, fissità e immediatezza, assenza di naturalismo…questi sono gli elementi che fanno della statua un simbolo di eternità, simboleggiano la solidità della nuova tetrarchia e la forte unione dei sovrani.
L’esperimento non era destinato a durare ma il Gruppo dei Tetrarchi rimane un capolavoro della scultura tardoantica e lì, nella Basilica di San Marco, da un lato ricorda il tentativo ammirevole compiuto da Diocleziano e dall’altro protegge il Tesoro del santo.
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