“[Augusto divenuto pontefice massimo] radunò tutte le profezie greche e latine che [...] erano tramandate tra il popolo, circa duemila, e le fece bruciare. Conservò solo i libri sibillini e, dopo un'attenta selezione, li pose in due armadi dorati ai piedi della statua di Apollo Palatino.”
(Svetonio, Augustus, 31)
È il 6 marzo del 12 a.C.: Ottaviano assume il titolo di Pontifex Maximus diventando il capo religioso di Roma.
Lepido che ricopriva questa carica era ormai morto da un anno e la proclamazione avvenne con un procedimento irregolare di acclamazione: nulla riusciva più a ostacolare la scalata al potere del “vecchio” Ottaviano, ormai cinquantenne.
La carica di pontefice massimo era antichissima e risaliva all’epoca più antica di Roma, alla costruzione del Pons Sublicius, il primo ponte della città, costruito nei pressi dell’isola Tiberina: per la popolazione romana il ponte era così importante che per la sua manutenzione e protezione era nato il più antico e potente sacerdozio romano, il Pontifex appunto. La carica era più rappresentativa che altro ma costituiva il massimo grado religioso a cui un romano poteva aspirare…e Augusto finì per ottenerla!
Naturalmente la nuova carica assunta andava celebrata e fu così che, tra le molteplici statue create per lui, nacque la statua di Augusto nelle vesti di pontefice massimo.
Ma facciamo un passo indietro perché, ovviamente questa non fu l’unica tipologia in cui venne raffigurato e un percorso ben preciso tracciò la sua nascita.
L’arte del periodo augusteo si sviluppò in senso neoclassicista, il tipo di arte che rifletteva meglio il volere e le mire di Augusto, finalizzati a costruire un impero solido: il princeps voleva mostrarsi erede della tradizione greca, si poneva come antenato diretto di Enea, il troiano che era giunto nel Lazio, e quindi riprese lo stile del periodo di maggior splendore della Grecia, quello classico, stravolgendolo però a suo favore. Raffinatezza, eleganza, sobrietà, idealizzazione, un pizzico di freddezza…il percorso dell’arte augustea si evince perfettamente seguendo i ritratti di Augusto stesso.
L’imperatore infatti era onnipresente, dovunque ci si imbatteva in lui, oltre 210 sono i ritratti a noi giunti e alcuni archeologi, per tentare di fare ordine nella massa, li hanno classificati basandosi sulla disposizione dei riccioli sulla fronte.
La prima tipologia risale al 40 a.C. quando Ottaviano è un principe di 23 anni: i capelli ricci e scompigliati sono spostati su un lato e ricordano il grande Alessandro, il volto è scarno e magro, il profilo allungato, il mento appuntito, la mascella contratta e tesa come la bocca, la fronte e le sopracciglia leggermente aggrottate, così come anche gli occhi. Qui l’ispirazione viene ancora dai modelli tardo repubblicani di Pompeo e Agrippa e Ottaviano proprio questi voleva ricordare, uomini forti dall’espressione patetica che sembravano portare sulle loro spalle tutte le preoccupazioni del mondo ma al contempo decisi e desiderosi di avere successo.
Nel 27 viene creato il “tipo Prima Porta”, quello destinato ad avere più successo, il più amato e riprodotto, nato in occasione della “restaurazione” della res publica, quando il senato conferisce ad Ottaviano il titolo onorario di “Augusto” e questi diventa primus inter pares, anche se nei fatti uomo dal potere illimitato!
Proprio a questa tipologia appartiene l’Augusto di Via Labicana, quello in cui egli viene rappresentato come Pontifex Maximus: gli artisti si rifanno qui agli scultori greci classici, specialmente a Policleto, e quello che ne traspare sono la compostezza e la bellezza.
Nei ritratti del periodo Ottaviano non è più un giovane, è Augusto, deve esprimere la sicurezza del nuovo governo instauratosi e c’è bisogno di un’immagine ufficiale, simbolo del nuovo principato.
Il volto è intenso e solenne, la fronte sempre contratta, gli occhi impersonali e profondi, la bocca più somigliante al vero e le orecchie a sventola, così come dovevano essere nella realtà: ha ormai 36 anni ma la sua età non si percepisce, risulta atemporale, destinato a rimanere così per sempre: l’arte greca viene ripresa come esempio di bellezza assoluta, rielaborata in chiave romana.
Augusto è immutabile e, nell’Augusto di Via Labicana è l’immagine perfetta del pontifex.
La statua venne trovata sulle pendici dell’Oppio, appunto in Via Labicana, è conservata al Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo, Roma, ed è in realtà una copia di età tiberiana di un ritratto eseguito tra la fine del I a.C. e l’inizio del I d.C.: i tratti somatici emaciati suggerirebbero la realizzazione dell’originale negli ultimi anni di vita di Augusto e questo ne fa l’esemplare più importante di questa fase finale.
Augusto è una figura intera a tutto tondo di 207 cm, e il capo è velato, proprio come voleva la tradizione per il Pontefice Massimo: il braccio destro spezzato teneva probabilmente in mano una patera, un piatto rituale che si usava nei sacrifici, mentre accanto vi è una capsa, un contenitore per gli atti pubblici; ai piedi indossa i tipici calcei patricii per lo svolgimento dei sacrifici e la toga ampia copre tutto il corpo non delineandone bene le forme.
La testa venne scolpita a parte da uno specialista e appare piuttosto fredda nella sua bellezza di derivazione classica, distaccata e quasi sovrannaturale ma al contempo con visibili i segni inevitabili della malattia e della stanchezza.
Augusto è stanco ma la sua immagine rimane forte, simbolo dell’impero che era riuscito a creare e di una Roma che era appena ai suoi inizi, destinata a brillare sempre sotto la sua brillante luce.
Di Silvia Urtone
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