Di Silvia Urtone
La paura della morte va sconfitta. Con ogni mezzo possibile. Gli antichi romani lo sapevano bene e cercavano di realizzare questo proposito sui loro sarcofagi, i letti eterni dove il corpo del defunto avrebbe riposato per l’eternità mentre la sua anima avrebbe vissuto gioiosamente in eterno nei meravigliosi Campi Elisi.
Tra i vari personaggi che accompagnavano il defunto e alleggerivano in qualche modo per i cari il tragico momento del trapasso c’erano i paffuti e adorabili Amorini, Eros e Psiche. I piccoli fanciulli del seguito del dio dell’amore, il dio e la sua sposa si trovavano anche su sarcofagi a tematica dionisiaca in cui, insieme al tiaso del dio del vino e dell’eccesso, danzavano spinti dalla frenesia, ma in altri casi questa atmosfera mancava e a prevalere erano la tenerezza dell’amore tra Eros e Psiche e le molteplici attività in cui venivano colti i paffuti bambini alati.
L’amore eterno della coppia divina, in questi ultimi sarcofagi, brilla come una stella nelle raffigurazioni, rammenta ai vivi che un sentimento così intenso può esistere, rammenta che a una mortale può accadere quello che è successo a Psiche, che ci può essere il lieto fine…e porta alla memoria il mito che ha come protagonisti i due!
E così si rivive la tragedia della bellissima fanciulla invidiata da Afrodite e destinata ad innamorarsi dell’uomo più brutto della terra tramite una delle frecce di Eros. Si rivive la tragedia di Eros che, innamoratosi perdutamente di Psiche, decide di rapirla all’insaputa della madre e farla sua ogni notte senza mai mostrarsi. Si trema per la curiosità della donna che vuole scoprire il volto del suo amante e che lo fa fuggire via. Si affrontano con lei tutte le prove a cui Afrodite la sottopone per punirla per aver fatto soffrire il figlio…e infine si giubila quando Eros accorre, la salva e la sposa sull’Olimpo, rendendola immortale!
Tutto questo richiamano i gioiosi sarcofagi con le due divinità, metafora a volte di un amore e complicità profondi propri dei defunti, mentre quelli recanti i piccoli Amorini possono ritrarre questi intenti a giocare, a partecipare a combattimenti di galli, a pescare, a cacciare, a compiere sacrifici, a interagire con la stessa Psiche e con altre figure mitologiche, a svolgere le attività più disparate, anche adulte, fino a sorreggere i clipei, grossi scudi con i busti dei defunti. Questi interagiscono con gli esseri umani, compiono attività tipicamente umane, si mescolano a loro fin quasi a confondersi e quasi ci riuscirebbero se non fosse per le ali.
Sui sarcofagi per gli adulti, vengono rappresentati in posizione araldica ai lati del busto del defunto, tenendo dietro di lui un drappo (parapetasma), oppure mentre sorreggono il clipeo con dentro sempre il defunto.
Sono presenti, a volte, anche su sarcofagi di fanciulli, come equivalente mitico dei bambini, compiono attività fanciullesche tratte dalla vita quotidiana forse compiute in vita dal defunto, giocano (per esempio con i dadi, tema che diventa molto presente nel III sec. d.C., in cui il bambino protagonista risulta sempre il vincitore): quello che si tenta di fare è augurare ai morti un aldilà felice e pieno di gioia!
Possono anche essere usati in luogo di figure mitiche con qualità di adulti sia su sarcofagi di fanciulli sia su sarcofagi di adulti, o colti nell’attività della vendemmia, riconfermando così anche un legame col dio Dioniso.
A partire dal II sec. d.C. Eros, Psiche e i loro Amorini affollano i sarcofagi dei romani per poi proseguire attraverso il III e il IV d.C.
Uno in particolare è l’esemplare che oggi andiamo a scoprire, il frammento di un sarcofago che reca come protagonisti la figura di Psiche e quella dei suoi accompagnatori Amorini: proviene dalle Catacombe di Pretestato, Roma, e viene datato generalmente al tardo III sec. d.C.
Quello che rimane del sarcofago è un piccolo frammento della fronte della cassa che rappresenta a sinistra un clipeus col busto di una giovane fanciulla con tunica allacciata sulla spalla destra, retto da due Amorini stanti nudi e alati, con sotto la raffigurazione più in piccolo di una donna che allatta un bambino, e a destra la scena di un Amorino che consegna un pavone alla figura seduta di una fanciulla, probabilmente la nostra Psiche, sotto la cui sedia vi è un uccello.
Qui gli Amorini non sono immersi in un’atmosfera dionisiaca ma accompagnano il busto del defunto, una fanciulla, e la figura di Psiche. Quest’ultima, spesso riconoscibile dalle ali di farfalla, compariva in sarcofagi sia per fanciulli sia per adulti, con o senza lo sposo Eros (in questo caso colti in uno stretto abbraccio) e attorno gli immancabili Amorini.
In questo caso il sarcofago è dedicato a una fanciulla e l’atmosfera che traspare è delicata, femminile, pervasa da un amore, probabilmente materno, come suggerito dalla piccola raffigurazione della donna che allatta un bambino. Quest’ultima, unita alla delicata figura di Psiche a cui viene offerto un sempre delicato pavone, si raccorda perfettamente con il busto di fanciulla nel clipeo. L’amore è il tema che sembra essere protagonista del sarcofago.
Il volto della fanciulla defunta è completamente sbozzato, quasi un tondo perfettamente levigato e piatto: nulla sembra dovervi essere applicato sopra, ma andava completato?
Forse no, forse lasciarlo così e immergerlo tra immagini di Amorini, Psiche e una madre con figlio, voleva essere un modo per augurare alla fanciulla, senza intrappolarla nella fisicità in cui la morte l’aveva colta, di compiere nell’aldilà le cose non portate a termine in vita, di innamorarsi, avere una famiglia e un figlio.
Una piccola consolazione per una giovane vita strappata dalla morte.
Una piccola consolazione per i vivi.
Una piccola consolazione data dalla fortunata Psiche e dai gioiosi Amorini.
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