“O figlia mia diletta, Penèlope, sorgi dal sonno,
vedi con gli occhi luoi ciò che tu notte e giorno bramavi!
Tornato è Ulisse, è giunto, sebben dopo tanto, al suo tetto,
ha morte inflitto ai Proci, flagello di questa dimora,
che divoravano i beni, faceano sopruso a tuo figlio.”
(Omero, Odissea, Canto XXIII)
Si parla spesse volte dell’astuto Odisseo, l’eroe della guerra di Troia, che vagò per il mare tormentato da Poseidone, giacendo tra le braccia di Circe e Calipso e vivendo mille incredibili avventure.
Ma che dire della moglie Penelope che lo attendeva pazientemente a Itaca?
Penelope era figlia di Icasto e di Policaste, discendeva da parte di padre dall’eroe Perseo ed era cugina della bella Elena, la causa scatenante della guerra di Troia. Il suo nome significa “anatra” e le fu dato a seguito di alcuni eventi dell’infanzia: gettata in mare per ordine del padre venne salvata da alcune anatre che riuscirono a trasportarla fino alla riva; i genitori dopo questo evento miracoloso furono “costretti” a riprendere la figlia con sé e le diedero il nome di Penelope. Divenuta sposa di Odisseo e rimasta incinta del loro figlio Telemaco poté godere per poco tempo delle gioie della vita coniugale, poiché a breve il marito partì per la guerra e lei finì per attenderlo per ben 20 anni, crescendo da sola il loro figlio e tenendo a bada i Proci, i nobili pretendenti che volevano costringerla a sposare uno di loro. Ma Penelope era sicura che Odisseo fosse ancora vivo, non era intenzionata a risposarsi e inventò lo stratagemma della tela: promise ai pretendenti che, dopo aver finito di tessere il sudario per il suocero Laerte, avrebbe scelto il suo futuro marito…ma, mentre di giorno tesseva, di notte scioglieva tutto il lavoro fatto!
Riuscì a ingannarli per quasi quattro anni ma poi un’ancella la tradì e svelò il suo inganno. Ma tornò Odisseo con relativo “lieto fine”.
Penelope, nonostante alcune versioni non sostengano la sua fedeltà assoluta al marito, è per antonomasia l’immagine della moglie fedele e indissolubilmente legata al proprio coniuge. È l’ideale del mondo omerico, la donna che unisce in sé bellezza, regalità, pudore, fedeltà e anche astuzia, gareggiando in quest’ultima con Odisseo stesso e mettendolo alla prova anche alla fine, a seguito dell’uccisione dei Proci.
È colei che attende e spera nel ritorno del proprio uomo. È l’immagine della malinconica e lunga attesa.
E naturalmente non mancarono nel mondo greco ceramografi che vollero rappresentare questo modello ideale di donna. Uno su tutti, forse il primo a donarci la più antica raffigurazione su ceramica di Penelope, il cosiddetto Pittore di Penelope.
Egli fu attivo nella seconda metà del V sec. a.C., nel 420 a.C. circa, e la sua intera produzione si limitò alla forma preferita dello skyphos, la tipica coppa per bere con due anse, con solo una oinochoe. Le sue rappresentazioni erano concise, con pochi personaggi ben caratterizzati e posti all’interno di spazi limitati dal sapore classico: prediligeva tematiche mitologiche o scene di genere, tutte solenni e ben pensate. E naturalmente in una delle sue coppe a figure rosse, trovata a Chiusi, troviamo la nostra Penelope.
La donna è seduta all’estrema destra, ha il capo visto di tre quarti e appoggiato sul dorso della mano destra e ha interrotto il suo lavoro al telaio, guardando assorta verso il basso e pensando naturalmente ad Odisseo. Di fronte, diviso da lei da una lancia inclinata, sta in piedi il figlio Telemaco: nella sua persona sono riuniti il padre e il consorte, Odisseo, presente e assente allo stesso tempo, la cui vista provoca una profonda afflizione nella donna. Sullo sfondo si staglia un telaio verticale, quello usato da Penelope per ingannare i Proci, quello su cui di giorno tesse e di notte scioglie ciò che ha fatto durante il giorno: segna il tempo, lo scorrere dei minuti e dei giorni in cui la moglie è senza il marito, in sua attesa.
Sul telaio si riconosce perfettamente una stoffa orientale con cuciti animali mitologi, uno di quei motivi dell’Est particolarmente apprezzati, e il telaio stesso costituisce una delle raffigurazioni più precise di telaio verticale, estremamente utilizzato nelle case ma non giunto in maniera tangibile, poiché in legno, ma solo grazie a descrizioni di autori e in raffigurazioni ceramiche.
E Penelope è lì, nella sua casa, donna costretta ad attendere, e diventa il modello originario di tutte le successive raffigurazioni della melanconia, resa sempre con un volto affranto, per lo più di donna, abbassato e in parte nascosto dalla mano che lo sostiene.
Non c’è spazio qui per la Penelope coraggiosa e astuta che inganna i suoi pretendenti, c’è spazio solo per la Penelope che abbandona la sua armatura di donna forte mostrando quella di una donna disperata e stanca, che vorrebbe solo poter riabbracciare il proprio marito.
Ma non temere, Penelope, Odisseo è in arrivo.
Di Silvia Urtone
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