Di Silvia Urtone
“I più elogiati poi vennero anche a gara, sebbene nati in diverse epoche, perché avevano fatto Amazzoni […]. Piacque che fosse scelta quella più apprezzata degli artisti stessi, che erano presenti e con un giudizio allora si vide essere quella che tutti avevano giudicata seconda ciascuno dopo la propria.
È quella di Policleto, successiva dopo questa di Fidia, la terza di Cresilo, la quarta di Cidone, la quinta di Fradmone.”
(Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XXXIV, 53)
L’Artemision di Efeso. Il tempio di Artemide.
Una delle sette meraviglie del mondo di cui purtroppo oggi rimangono solo pochissimi resti.
È il luogo della dea cacciatrice Artemide, la dea vergine e dea della luna, sorella del luminoso e splendido Apollo…ma è anche un luogo a cui, secondo molte fonti antiche, sono legate le Amazzoni, donne guerriere e vergini estremamente simili ad Artemide, le quali secondo Pindaro avrebbero proprio fondato il culto stesso della dea, e secondo Callimaco avrebbero eretto nei pressi di Efeso una sua statua intorno a cui sarebbe poi stato costruito il tempio stesso.
Amazzone: Ἀμαζών (amazòn).
Secondo alcuni il termine con cui venivano indicate queste ardite donne guerriere è da tradurre con “senza seno” e deriva dalla loro tradizione di tagliarsi la mammella destra in maniera tale da poter tendere meglio l’arco, in maniera tale da “privarsi” in un certo qual senso dei propri attributi femminili per poter migliorare le proprie qualità in battaglia, in genere attribuite solo agli uomini.
Per altri il termine deriverebbe dalla parola caucasica “luna” e quindi sarebbe da tradurre con “sacerdotesse della luna”, a sottolineare il loro forte legame con l’indipendente Artemide.
Come si può vedere, dunque, le Amazzoni hanno un forte collegamento con la dea della luna, molte similitudini, sono vergini, combattenti, incapaci di sottostare agli uomini, nutrono per questi un odio profondo…e sono le protagoniste di una contesa artistica svoltasi nel V sec. a.C.!
Siamo nel 435 a.C. e l’Artemision di Efeso ha indetto una gara a cui partecipano i più famosi scultori del tempo: quella che bisogna creare è la statua di un’Amazzone ferita in bronzo e in seguito saranno gli stessi scultori a giudicare la migliore opera e a decretare il vincitore della contesa.
Come ci comunica Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia partecipano alla gara Policleto, Fidia, Cresila, Cidone e Fradmone e ad aggiudicarsi la vittoria è Policleto, lo scultore del Doriforo, l’inventore del canone basato su ponderazione e simmetria, seguito dagli altri tre in quel medesimo ordine.
Le statue, come specificato, erano in bronzo e purtroppo non ci sono giunte ma, grazie alla costante produzione romana di copie in marmo, oggi possiamo ammirarle in tutto lo splendore col quale i loro originali erano stati realizzati e ammirati in quel lontano 435 a.C.
Iconograficamente le Amazzoni si assomigliano, sono raffigurate ferite, con il seno destro scoperto, ferite lì o alla coscia, vestite con un succinto e movimentato chitone, ma se le guardiamo attentamente mostrano differenze sostanziali. Andiamo quindi a studiare i capolavori di Policleto, Fidia e Cresila.
A Policleto è stata attribuita la statua realizzata dal copista Sosicle, oggi conservata ai Musei Capitolini di Roma: qui l’Amazzone è raffigurata nell’atto di strapparsi la veste per alleviare il dolore della ferita al seno destro. Al collo è agganciato un mantello che ricade sulla schiena, il braccio destro doveva essere appoggiato a una lancia, il sinistro ripiegato tiene la veste. Il peso poggia tutto sulla gamba sinistra ma è il lato destro più sciolto e sinuoso ad essere il centro dell’azione: è il Canone di Policleto ad essere qui rappresentato e il movimento delle spalle risulta essere opposto a quello delle gambe. La fanciulla poggia su gamba sinistra e lancia a destra e al centro di tutto, sottolineata da mano e sguardo, è la ferita. Corrispettivo femminile del Doriforo, l’Amazzone di Policleto è la rappresentazione perfetta del corpo di donna fatto statua ma non dimentica di porre accento sulla sofferenza causata dal colpo che le è stato inferto.
L’Amazzone Mattei, di Villa Mattei, e un’altra trovata a Villa Adriana, sono invece quelle attribuite a Fidia: qui la figura si appoggia alla lancia sempre con la mano destra sollevata e il peso del corpo è tutto sulla gamba destra e su quel lato del corpo; la gamba sinistra è ferita, piegata in avanti, libera dal peso e tutto il corpo appare in leggero movimento, pronto all’azione, sottolineando più il suo essere una guerriera che l’essere indebolita per il colpo subìto. L’Amazzone di Fidia è la bellezza, la donna perfetta che non avverte dolore e prosegue nella lotta.
L’Amazzone di Cresila, la cui copia è al Metropolitan Museum di New York, si appoggia a un pilastro e alza faticosamente il braccio destro verso la testa reclinata per il dolore: la posizione rompe con la tradizione e il centro di gravità non è più tra i piedi ma risulta spostato verso sinistra. La fanciulla è più libera nello spazio, la posizione è innovativa e sarà questa la tipologia che verrà utilizzata spesso alla fine del V sec. a.C.
Ma adesso non è ancora arrivato il suo momento, adesso è il momento del trionfo di Policleto in questa contesa artistica, il trionfo della sua Amazzone, perfetta nel ritmo chiastico con cui viene raffigurata e imperfetta nel suo essere indebolita da una ferita e nello stracciarsi la succinta veste per il dolore.
L’Artemision di Efeso ha trovato la sua Amazzone ferita.
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