Di Silvia Urtone
“La grande, prestigiosa raccolta di gemme incise formata a Firenze dalla famiglia dei Medici nell’arco di quasi tre secoli [rappresenta] uno straordinario esempio di amore per l’arte, sorretto da eccezionali mezzi economici, e l’indice del gusto di un’epoca, quella del Rinascimento, che con animo reverente e commosso, muoveva alla scoperta, alla riconquista della “sacrosanta antiquitas”.
Oggi voliamo a Napoli, nello splendido Mann, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
Qui la collezione Farnese domina incontrastata e il visitatore, dopo aver contemplato la potenza della figura dell’Ercole, passa direttamente alla cosiddetta “montagna” Farnese, quella del Toro, lasciandosi alle spalle una parte fondamentale e affascinante della collezione: si tratta di due piccole sale, collocate in posizione marginale e forse poco segnalate, in cui sono esposti circa duemila esemplari di gemme di tutti i tipi, dallo smeraldo allo zaffiro, dalla corniola alla sardonica…e proprio in agata sardonica è realizzato un esemplare davvero unico, testimonianza dell’estrema raffinatezza e dell’altissimo livello artistico raggiunto in età ellenistica presso le corti orientali.
Si chiama Tazza Farnese ed è una meraviglia di colore nero giallastro, in cui si incontrano il bianco panna e l’ambra del miele.
Ci troviamo nel periodo dei regni ellenistici, nati dopo le conquiste di Alessandro Magno, e alle soglie dell’arrivo di Roma nell’universo orientale: le corti reali, specie quella di Alessandria d’Egitto, ancora non avvertono la crisi imminente e producono meraviglie senza eguali affinando le proprie tecniche in ogni campo. Uno in particolare raggiunge livelli di raffinatezza altissimi, ovvero quello della produzione di gemme e gioielli, creazioni con i più piccoli particolari incisi in maniera sopraffina.
Le gemme incise nel periodo sono innumerevoli e gran parte, per nostra fortuna, entra a far parte del bottino dei conquistatori romani con la conquista della Grecia: l’inizio di questa passione, a detta di Plinio, inizia con il trionfo di Pompeo su Mitridate e il possesso di gemme è destinato ad aumentare con Augusto, erede dei Tolomei, fino a diventare queste parte integrante delle collezioni dei sovrani e, in seguito, dei musei di epoca moderna.
Molte sono le tipologie in circolazione, molte dal significato simbolico e la nostra Tazza, nonostante la difficile interpretazione, non fa eccezione!
In agata sardonica e dal diametro di circa 20 cm, questa venne prodotta nell’Egitto dei Tolomei, probabilmente non usata nei banchetti ma per compiere delle libagioni rituali.
Arrivò a Roma a seguito della conquista dell’Egitto da parte di Ottaviano nel 31 a.C. e in seguito venne sballottata tra Italia e Oriente. Passò a Bisanzio e tornò a Roma nel 1204, nel 1239 venne acquistata per la collezione di Federico II, nel 1430 un disegno che la riproduce la vide a Samarcanda. Comparve a Napoli passando dalla corte aragonese alle collezioni papali mentre nel 1471 venne acquistata dai Medici, da Lorenzo il Magnifico. Infine entrò a far parte della Collezione Farnese grazie a Margherita d’Austria, vedova di Alessandro de’ Medici e sposa in seconde nozze di Ottaviano Farnese, e oggi prende il nome della sua nuova e ultima famiglia e si trova al Museo Nazionale di Napoli.
Il soggetto è la valle del Nilo ma questa non viene usata per descriverla in tutti i minimi particolari bensì come punto di riferimento di un’apoteosi dinastica simbolica!
La tecnica usata è impressionante, specie nel tondo interno scavato a tazza, e sfrutta i diversi strati della gemma stessa, in un turbinio di colori e gradazioni che risultano quasi cangianti.
La superficie esterna è decorata con un gorgoneion e il naso della Gorgone presenta un piccolo foro in cui probabilmente doveva essere inserito il sostegno su cui esporre il manufatto.
Ma è la superficie interna con le sue otto figure protagoniste a risultare davvero incredibile: in basso e accovacciata si trova una sfinge dal corpo ricavato da uno strato più scuro rispetto a quello del volto, la quale rappresenta il dio Osiride; sopra questa siede la moglie e sorella Iside, che si volge verso due figure a destra, personificazioni di due stagioni, quella della piena del Nilo e quella delle messi che ne derivano; dietro alla dea si trova Horus-Trittolemo, figlio di Osiride e Iside, che allude alla stessa fertilità, con in mano il bastone dell’aratro e a tracolla un sacco di sementi; a sinistra siede su un albero un uomo dal volto barbato e dallo sguardo benevolo, il quale rappresenta lo stesso Nilo con in mano la cornucopia, simbolo dell’abbondanza per eccellenza. In alto a destra due giovani in volo, i venti efesii che favoriscono l’arrivo della piena del fiume.
Osiride, Iside e Horus-Trittolemo, quella sorta di torre centrale formata da tre elementi, sono i protagonisti della scena…sono loro tre a garantire il costante e annuale ripetersi del succedersi di piena e messi.
Ma, se guardiamo attentamente, non sono tre semplici divinità dai volti perfetti bensì personaggi dai tratti fisionomici ben definiti!
Il restare fedeli a determinate tipologie di ritratto nell’arte tolemaica non permette di identificare con certezza le figure ma l’ipotesi più comune vede in Osiride Tolomeo V Epifane (regnò dal 203 al 181 a.C.), in Iside Cleopatra, la regina madre reggente al trono dopo la morte del marito e fino alla maggiore età del figlio, e in Horus-Trittolemo il loro figlio Tolomeo VI Filometore.
Tutto ciò fa della Tazza Farnese un gioiello dalla funzione propagandistica creato per celebrare i Tolomei, coloro che, come divinità, rendevano possibile la prosperità dell’Egitto.
Propaganda, bellezza e raffinatezza in una tazza color del miele.
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