Domenica scorsa ho avuto modo di visitare il nuovo allestimento-mostra della Galleria Nazionale d’arte moderna di Roma dal titolo "Time is out of Joint” (la cui scritta è visibile in grande anche sulla scalinata di accesso), che tanto ha fatto discutere in questo ultimo periodo. Personalmente ho visitato il museo tantissime volte, già dal liceo e l’allestimento era sempre stato di tipo “accademico”: opere d’arte che si susseguivano per le sale in ordine cronologico e schematico. Si partiva dall’Ottocento per arrivare ai giorni nostri.
La novità e l’idea di fondo di questo nuovo “riammodernamento” della galleria, che tra l’altro sarà temporaneo dato che terminerà ad aprile 2018, è basato su una nuova percezione delle cose che ci circondano. Non più una visione verticale ma orizzontale, che permette di relazionare insieme più ambiti storici e culturali. Adesso vediamo in una stessa sala L’Ercole e Lica di Canova con il Terrae motus di Pascali, oppure i quadri metafisici di De Chirico con i tagli di Fontana e l’unione non è niente male. Antico e contemporaneo, ieri e oggi si fondono e dialogano benissimo insieme, trovandosi in splendida sintonia.
L’allestimento è stato curato da Cristiana Collu, che sicuramente aveva immaginato lo “scalpore” che avrebbe riscosso la sua proposta. Infatti è stato messo in discussione il tradizionale allestimento didattico che sempre aveva accompagnato gli studenti nei loro studi e che aveva messo d’accordo la maggior parte dei insegnanti. Ora non è più così e c’è già chi, tra i professori più “bigotti”, ha condannato queste novità. E’ difficile accettare un riordinamento così audace e contemporaneo, soprattutto per professori ed insegnanti “vecchio stampo” legati alla tradizione.
Io, dal mio punto di vista, sono rimasta piacevolmente colpita dal nuovo allestimento in quanto moderno e portatore di nuove domande. Adesso siamo noi spettatori che dobbiamo capire il motivo dell’avvicinamento delle opere nella stessa sala nonostante l’accostamento non sia così chiaro a prima vista. Siamo noi a dover spremere le meningi e capire il perché. Sono stata inoltre contenta del riordino, finalmente fatto con criterio, delle opere di Pino Pascali, come Dinosauro, che fino a qualche anno fa, erano state “accozzate” tutte insieme dentro una piccola saletta senza che il visitatore potesse girarci intorno. Questa è invece una cosa essenziale per l’arte povera come quella di Pascali. L’opera d’arte diventa tale solo quando lo spettatore ci cammina accanto, la esplora e in molti casi la tocca con le proprie mani. Cosa che non era possibile fare con il non sensato allestimento precedente che non permetteva nemmeno di entrare nella piccola sala.
Unica cosa per me negativa è stata la scelta delle didascalie delle opere. Queste mostrano il nome dell’artista, il titolo dell’opera e l’anno di esecuzione. Non viene però menzionata la tecnica artistica dell’opera che, per tante di esse, è quasi d’obbligo. Sembra una banalità, ma non è così. Infatti, non essendoci solo quadri dipinti ad olio su tela, senza una didascalia, non si capisce il tipo di materiale usato e per le opere di arte contemporanea, dove ormai si sperimentano le tecniche più disparate, penso sia molto importante. Basta guardare un’opera di Burri che utilizzava superfici di plexigass bruciate con la fiamma ossidrica, sacchi di iuta e cellophane; oppure ad Antonio Turcato che nella sua Superficie lunare ha impiegato il poliretano espanso, ossia la gommapiuma.
Veniamo ora anche al riallestimento dell’entrata della galleria. Appena entriamo ci rendiamo subito conto che la monumentale e teatrale installazione di Alfredo Pirri Passi non c’è più. Per chi non lo sapesse, era una grande superficie a specchio crepata posizionata come pavimento su cui, a rotazione, venivano selezionate delle sculture della galleria da mettere sopra. Lo spettatore che ci camminava aveva l’impressione che il pavimento potesse aprirsi sotto i suoi piedi da un momento all’altro, dato il suo scricchiolio continuo, ma ovviamente la cosa non accadeva. L’installazione era molto bella, suggestiva, in alcuni casi anche drammatica e ci ricordava di guardare l’arte senza però rilassarci troppo. Ora purtroppo, Passi non c’è più, è stata smantellata, per fare spazio ad un’area relax dove i visitatori possono riposarsi sui divanetti o prendere un caffè e qualche snack al piccolo bar allestito ex-novo per l’ambiente. A me personalmente piaceva molto, ed è una delle cose che mi mancherà in galleria.
Infatti quando sono venuta a conoscenza di questa nuova idea e poi della sua attuazione non ne ero totalmente convinta in quanto scettica all’idea di un bar poco prima di entrare in galleria, ma devo dire che l’area così allestita si sposa bene con la nuova idea di allestimento che è stata pensata. Anche le ali laterali dell’entrata, che prima erano chiuse al pubblico, sono diventate fruibili inserendo il bookshop, che tradizionalmente è sempre alla fine del percorso. In questo modo invece si permette anche a chi non voglia entrare a vedere le opere, di fare un giro per i libri e i souvenir e magari comprare qualcosa. Anche lo stile adottato per il bar e il bookshop mi ha colpito: semplice ed essenziale, un po’ minimal dove protagonista è il pattern ligneo.
Nel complesso do un ottimo giudizio a questo nuovo riallestimento e spero che in futuro possa essere apprezzato anche da chi, ancora scettico, ha dato un giudizio pressoché negativo. La Galleria Nazionale ha fatto un grande passo in avanti, desiderosa di essere al passo con i tempi e pare ci sia riuscita molto bene.
Federica Pagliarini