Dal 25 ottobre al 27 marzo 2016 sarà possibile visitare a Palazzo degli Esami a Roma la mostra “Van Gogh Alive: the experience”. L’ho visitata domenica scorsa e ora sono qui con i consueti giudizi.
Premetto di aver già visto una mostra simile, ad aprile di questo stesso anno a Palazzo Esposizioni sempre a Roma, quella dedicata a Caravaggio e intitolata “Caravaggio experience”. In automatico le ho messe a paragone e ho tratto le mie conclusioni. Ho analizzato in particolar modo il livello organizzativo e la curatela, dato che, a livello di bellezza delle opere degli artisti, la cosa è abbastanza soggettiva, nonostante tutti e due siano stati dei pittori straordinari. Ma partiamo con ordine.
La mostra di Van Gogh ha adottato un sistema nuovo rispetto a quello usato per Caravaggio: il sistema “Sensory4”, che utilizza quaranta proiettori ad alta definizione, una grafica multicanale e un sistema audio surround come quello del cinema, che porta così lo spettatore ad immergersi completamente nell'atmosfera dell’artista e dei suoi capolavori.
Appena si entra, dopo la consueta biglietteria, ci troviamo in un’ampia sala, tipica di gran parte dei musei del mondo, allestita con pannelli che spiegano in maniera molto concisa le fasi della vita di Van Gogh e una serie di quadri selezionati e contestualizzati. In più è stata riprodotta in scala reale la camera del quadro “La Stanza di Arles” del 1889.
Solo varcata questa sala, entriamo nella mostra vera e propria. La sensazione a primo impatto è molto bella, perché ci troviamo immersi nella vita di Van Gogh. Gli ampi schermi riproducono i quadri del maestro nelle diverse fasi della sua vita. Alcuni pannelli proiettano le opere, altri estratti di frasi tratte dalle lettere scritte al fratello Theo. Il tutto impreziosito dalle splendide musiche scelte ad hoc per ogni fase del pittore. Per citarne alcune: “Prelude” di J.S Bach e “Le quattro stagioni” di Antonio Vivaldi.
La mostra è emozionante grazie soprattutto alle musiche appositamente scelte per ogni fase delle vita che danno il tocco finale.
La mostra mette in chiaro come, il povero Van Gogh, non sia stato mai compreso, costretto a vivere nel suo mondo “malato” e pieno di convinzioni proprie. La famiglia lo allontanò quasi subito, appena si rese conto del suo carattere particolare e anche il fratello Theo, nonostante lo aiutò per tutta la vita, ne disprezzò alcune sue decisioni. Dalla fase iniziale che lo portò all’idea di diventare pastore evangelista, ne derivò una molto aspra contro i sacerdoti che cominciò a definire “materialisti senza cuore”. Che cosa lo portò a questo? Un lavoro in una miniera proprio come pastore evangelista. Si rese conto dei lavori forzati a cui erano sottoposti uomini e bambini, anche a 700 m di profondità, al buio e costretti a respirare polvere e carbone che li portavano la maggior parte delle volte alla morte. Così, si dedicò completamente a questa povera gente, donandogli anche i pochi vestiti da lui posseduti. Non a tutti però piaceva il suo comportamento e alla fine fu costretto ad andarsene. Da qui iniziò il suo disprezzo nei confronti dei sacerdoti e la sua compassione per le persone deboli e povere. Questo atteggiamento lo portò di conseguenza alla pazzia. A causa dei suoi comportamenti malati e strani, per ben tre volte venne chiuso in manicomio: ad Arles, a Saint-Remy e a Auvers sur Oise. Sarà proprio durante una terapia in quest’ultimo manicomio, che si tolse la vita sparandosi.
I lavori presi in considerazione nella mostra coprono un periodo che va dal 1880 al 1890, anno della morte. Si possono ammirare i primi lavori che hanno come soggetto gli operai e i lavoratori. Degno di nota è “I mangiatori di patate”, considerata la sua prima opera d’arte. Non possono mancare poi “La notte stellata”, “I Girasoli” e “Campo di grano con volo di corvi”, ritenuta la sua ultima opera. Si dice tra l’altro che il campo di grano raffigurato sia quello dove il pittore si sia suicidato sparandosi; anche se la morte arrivò solo due giorni dopo, dato che il punto in cui si sparò non era vitale.
Una vita triste e grama quella di Van Gogh, che non riuscì nemmeno a vendere un quadro durante tutta la vita. Scacciato da tutti, si rassegnò al suo destino, ma sapeva che prima o poi qualcuno avrebbe considerato i suoi quadri e così è stato. Anche Gaugain, che visse con lui a Parigi per due anni e per cui Van Gogh provava una grande ammirazione, lo allontanò. Sarà proprio a causa sua che accadde il famoso taglio del lobo dell’orecchio. Follia e solo follia è la parola più appropriata per descrivere la sua vita, forse però, follia di un genio, che dedicò la sua breve esistenza alla pittura.
Proseguendo nella mostra, entriamo in una seconda sala, dove i proiettori e gli schermi sono posizionati in modo diverso, ma, con mio grande dispiacere, riproducevano lo stesso identico video della sala prima. Questa è stata la cosa che mi ha fatto storcere il naso. Perché scegliere di riprodurre lo stesso video, anche se con schermi posti diversamente, nella sala adiacente? Una scelta che sinceramente non condivido.
Al contrario la mostra “Caravaggio experience” ha avuto sotto questo punto di vista un allestimento diverso. Le sale avevano un sistema sofisticato di multi-proiezione a grandissime dimensioni unito a musiche originali e fragranze olfattive. Ogni sala inoltre proiettava delle opere precise, che percorrevano i periodi dell’artista o tematiche precise. Questa è stata una scelta giustissima secondo me. Al contrario quella di Van Gogh è risultata ripetitiva. La cosa che ho apprezzato è stata invece l’idea di inserire, come detto sopra, una sala iniziale con pannelli che spiegavano la vita dell’artista. La mostra di Caravaggio invece non l’aveva ed iniziava subito con le proiezioni.
In definitiva posso dire che la mostra è stata ben curata e ha suscitato emozioni forti grazie soprattutto alle musiche tutte appropriate alle varie fasi della vita di Van Gogh.
Mostre multimediali di questo genere sono sicuramente dedicate ad un vasto pubblico, non solo quello addentrato nella materia e la fila che c’era davanti a Palazzo degli Esami lo confermava. Sono considerate mostre “leggere” a cui tutti possono andare. Non costringono il pubblico a guardare un quadro magari davanti ad una folla di persone che non permette di vedere bene l’opera. Anche se, secondo la mia personale idea, ha anche un elemento ossimorico perché è vero che è una mostra che può essere fruita da tutti, ma allo stesso tempo non permette di conoscere tanto di più proprio per il solo scorrimento delle immagini. Ogni artista agisce in periodi storici diversi e in relazione a condizioni personali varie che, secondo me, vanno conosciute per una piena comprensione della mostra.
In definitiva è comunque una mostra che consiglio a tutti, sia agli amanti della materia, che non. Vi aprirà a delle sensazioni uniche mai percepite prime.
Federica Pagliarini