Inizierà il 10 marzo a Palazzo Strozzi di Firenze la mostra sul video artist e performer Bill Viola.
Nato nel 1951 a New York, di origine italiana, comincerà la sua carriera nella metà degli anni Settanta quando approderà a Firenze nello studio art/taupes/22 come direttore tecnico. Questo era uno studio di videoarte, il più famoso e importante della capitale toscana, nato dalle menti creatrici di Maria Gloria Bicocchi e del marito. Viola è sempre stato attratto da questa forma di arte e lavorò per i video artist più famosi del tempo: Nam June Paik e Bruce Nauman.
La sua formazione avviene nel “College of Visual and Performing Arts” della “Syracuse University” e qui si avvicinerà all’arte del video.
L’elemento ossessivamente presente nelle opere di Bill Viola è l’acqua. Il motivo? Un evento accadutogli quando era ancora bambino. Aveva sei anni ed era in vacanza in montagna con la famiglia. Per imitare un cugino, si gettò nelle acque di un lago, ma non sapendo bene nuotare affondò molto velocemente. Solo l’intervento di uno zio lo salvò da morte certa. La sensazione che gli provocò l’”annegamento” non fu quella della paura, al contrario le profonde acque blu del lago lo affascinarono. Quasi tutte le sue opere vedono la presenza di questo elemento. Una delle più recenti è Tempest. The Raft (2004) dove diciannove persone sono colpite da un violento getto d’acqua. Alcuni vengono inondati, altri cercano di resistere, ma nessuno comprende quello che sta accadendo. Sembra ricordare le scene tradizionali di diluvio universale, portata però in questo caso all’esasperazione. Anche i volti infatti hanno delle espressioni agonizzanti e terrorizzate.
La mostra a Palazzo Strozzi ha il titolo “Bill Viola. Rinascimento elettronico”. Analizziamo il suo significato. Si parla di Rinascimento. Non a caso infatti Viola si avvicinò tantissimo all’arte di questo periodo quando, come abbiamo accennato prima, andò a vivere a Firenze. Finalmente poté vedere con i propri occhi tutte quelle opere che aveva sempre studiato sui libri e capirne così il significato. Gli interessava il fatto che le opere potessero vivere nel proprio contesto originale. Era molto affascinato dalle pale d’altare nelle chiese e dalle statue visibili nelle piazze (come Michelangelo e Donatello). Ma non era indifferente anche all’arte dei musei. Visitò gli Uffizi e ne rimase affascinato. Capì che i musei erano stati creati per ospitare le opere d’arte e non le opere d’arte create per i musei. Secondo l’artista togliere un quadro, una pala d’altare o una statua dal suo contesto originale, era come renderla “morta”.
Queste le sue parole:
Molte delle opere medievali e rinascimentali che avevo visto in quei primi mesi a Firenze non erano neanche nei musei. Erano nella comunità, in luoghi pubblici- cattedrali, chiese, cappelle, corti, monumenti, uffici municipali, piazze e facciate di palazzi – e, di più, molte opere erano anche nei luoghi per i quali erano stati commissionati cinquecento anni prima. L’atmosfera era satura di idee d’arte e di cultura. Avevo capito presto che qui la storia era veramente parte del presente. E che le idee più nuove circolavano in un insieme più grande. […]
E da qui l’idea che tutta l’arte è contemporanea, senza tempo e universale. Un ragionamento che non fa una piega. Dobbiamo infatti pensare che ogni opera deve essere vista e studiata nel contesto artistico e storico dell’epoca. Pensiamo per esempio a Pontormo (che tra l’altro era amatissimo da Viola). La sua arte viene oggi inserita in quel movimento artistico definito “manierismo”. Termine dispregiativo per indicare quei pittori che si allontanarono drasticamente dal modello naturale, stravolgendone il senso. Il suo modo di dipingere era sostanzialmente diverso da quello che fino a qualche decennio prima aveva caratterizzato Raffaello, Perugino, Ghirlandaio, Verrocchio e così via. Basti pensare alla “Deposizione”, pala d’altare conservata nella Chiesa di Santa Felicita di Firenze, per rendersene conto. Figure “sgraziate”, senza peso, che sembrano fluttuare nell’aria e colori accesissimi (tanto che Viola pensò che il pittore potesse aver fatto uso di sostanze stupefacenti per essere arrivato a inserire dei colori così sgargianti). In poche parole una pala che di grazia non ha nulla e che sembra un grande “caos”. A noi adesso probabilmente non fa nemmeno tanto effetto. All’occhio più esperto è ovviamente chiaro il cambiamento di stile, ma al tempo, era un’innovazione radicale e fortemente criticata. Potremmo paragonarlo alle performance odierne, che non vengono apprezzate da tutti. Gli artisti quindi sperimentavano nuovi mezzi e nuove tecniche come si fa oggi. Non è poi colpa di Raffaello o Perugino se materiali nuovi come la plastica, gli acrilici, gli smalti e i video (solo per fare alcuni esempi) sono stati scoperti secoli dopo. Probabilmente anche loro li avrebbero sperimentati se li avessero avuti a portata di mano.
Quello che interessa a Viola è poter sentire a livello esperienziale la storia dell’arte che aveva sempre studiato sui libri. Da qui le sue opere richiameranno sempre artisti del passato. La tecnica usata è quella del video in “slow motion”, che diminuisce il numero dei fotogrammi a minuto secondo, rallentando così l’azione. Esempi molto interessanti sono “The Greeting” (1995) dove tre donne vengono riprese mentre si incontrano per strada. L’immagine è rallentata e l’azione diventa così ancora più chiara. A chi si ispira? Al suo amato Pontormo, nel quadro “La Visitazione” (1528-1529).
Un’altra video installazione è “The Deluge” (2002). Qui vediamo inizialmente un tranquillo edificio e dei passanti camminare. Con l’avanzare della scena alcune persone vengono spazzati fuori dalle scale a causa di un fortissimo getto d’acqua. Viene subito in mente la violenta della lunetta affrescata con “Il Diluvio Universale e la recessione delle acque” da Paolo Uccello nel Chiostro verde di Santa Maria Novella a Firenze.
Anche in “First Light” (2002) abbiamo l’acqua come protagonista. Un’inondazione travolge delle persone. Si effettuano delle operazioni di salvataggio, soprattutto per una madre che crede di non riuscire più a trovare il figlio. All’improvviso invece risorge dalle acque. Il modello è stato ripreso dalla “Resurrezione”(1460) di Piero della Francesca.
Importante era quindi anche il tempo e la narrazione. Viola voleva animare i quadri antichi, renderli “narranti” e mostrare cosa sarebbe successo dopo, oppure continuare oltre la scena che si vede sulla superficie della tela.
Queste le sue parole:
[…] Anche il tempo vestiva un ruolo cruciale in queste opere italiane. Mentre ti spostavi nello spazio, comparivano determinate cose e la sequenza di immagini si dispiegava nel tempo tramite i movimenti corporei, non solo attraverso la vista. Molti grandi cicli di affreschi erano narrazioni in cui l’osservatore percorreva letteralmente la storia. Gli artisti dovevano ragionare per cicli spaziali e sequenze di immagini. Si possono intuire i loro sforzi per rappresentare lo svolgimento del tempo sequenziale. […]
Con questa mostra si vuole far conoscere al grande pubblico un artista contemporaneo tra i più innovativi in ambito di videoart. E la scelta del luogo non è casuale. Iniziò la sua carriera a Firenze e qui continua la sua consacrazione. Palazzo Strozzi sarà la sede ufficiale della mostra, ma ci saranno anche sedi distaccate: gli Uffizi, Santa Maria Novella e il Museo del Duomo.