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Fernando Botero: figure dilatate nello spazio


Fernando Botero è in mostra al Complesso del Vittoriano di Roma, nell’Ala Brasini e lo sarà fino al 27 agosto. Torna in un’esposizione completa il maestro colombiano che, tra il febbraio e il marzo dello scorso anno, era stato ospitato da Palazzo Esposizioni, sempre a Roma, con 27 capolavori di tema fortemente religioso, si parlava infatti di Via Crucis.

Questa del Vittoriano è invece una vera e propria retrospettiva che parte dalle sue prime tele fino a giungere alle più recenti. Si sceglie però di dividere l’esposizione per temi e non cronologicamente. In una sala dedicata per esempio alla natura morta, troveremo quadri degli anni Sessanta, insieme ad opere di qualche anno fa. In mostra anche alcune sculture, una tecnica che Botero cominciò a sperimentare negli anni Sessanta. La scelta di dividere la mostra in macro-aree è secondo me quanto mai adatta al pittore. La sua arte può infatti essere inserita in precise tematiche: la natura morta, la copia dei maestri antichi, il circo e il nudo (solo per citarne alcuni).

Prima di addentrarci nella mostra e vedere alcuni dei quadri esposti, non si può sorvolare sulla domanda che più di ogni altra attanaglia il grande pubblico: come mai Botero dipinge le sue figure così grasse? Perché, a prima vista, i protagonisti delle opere di Botero sono veramente molti grossi, oserei dire obesi. E questo in molti casi fa anche ridere. È ossessionato dal grasso? Ha avuto esperienze legate all’obesità e lo sente come un argomento vicino? No, niente di tutto questo. Per capire la radice della sua tecnica e del suo stile, non dobbiamo fare altro che conoscere la sua formazione artistica. Botero, come detto prima, è di origine colombiana, nato a Medellín, il 19 aprile 1932. Dopo una prima fase di formazione in Colombia e dopo aver partecipato al IX Salone degli artisti colombiani a Bogotà, riesce a vincere il secondo premio. Con i soldi ricevuti, decide di fare un viaggio in Europa per conoscere i grandi maestri d’occidente di cui sempre aveva sentito parlare, ma che, fino a quel momento, non era riuscito a vedere se non su riproduzioni di libri e testi scolastici. Le sue tappe saranno molteplici; prima tra tutte la Spagna, con Madrid. Qui conosce Rubens, Picasso, Velásquez. Si iscrive all’Accademia di San Fernando, per studiare pittura. Più che altro però si recherà nei musei e nelle gallerie per capire e cogliere lo stile dei maestri per poi copiarli e renderli propri. Nel suo viaggio, una tappa importante sarà l’Italia. Visiterà Firenze, Arezzo, Padova e conoscerà artisti come Giotto, Piero della Francesca e Andrea del Castagno. Grazie alla scoperta della loro arte e del loro modo di intendere la tridimensionalità e la prospettiva, Botero elabora il suo stile, inconfondibile. Sappiamo che Giotto aveva sperimentato per primo la prospettiva e la tridimensionalità dello spazio, anche non riuscendoci alla perfezione. Piero della Francesca aveva poi elevato il tutto ragionando su teoremi matematici e aveva creato delle figure tornite, quasi geometriche, precise. Botero ragiona su tutto questo, si fa domande sulla tridimensionalità, sulla plasticità delle figure e sulla dilatazione dello spazio. Il risultato sono le figure grasse, ma che grasse in realtà non sono. Quando infatti si chiede all’artista perché dipinge gli obesi, lui risponde che le sue figure non sono grasse, il suo intento non è quello. Per rendersene conto, tra l’altro, basta guardare attentamente i suoi quadri. Ad essere grosse non sono infatti solo le figure, ma anche gli oggetti, la natura morta, i paesaggi. Tutto sulla sua tele si gonfia e prende volume.


rivisitazione della Fornarina di Raffaello, 2006

Botero è un pittore figurativo, ma non naturalista. I suoi dipinti si collocano nella realtà ma non la riproducono

Queste le parole di Mariana Hanstein nella monografia dedicata a Botero. Un’affermazione che secondo me, ci fa capire subito le sue idee. Il suo è un modo tutto personale di vedere il mondo e di sperimentare la volumetria e la plasticità delle figure.

Il quadro cardine, dove si può dire sia iniziata la sua sperimentazione della dilatazione, è “Natura morta con mandolino” (1957), realizzato per la mostra organizzata dalla Pan American Union a Washington (viaggiò in America esponendo due volte alla galleria Gres e comprando una casa-studio, dove passava gli inverni). In questa tela vediamo un piccolo forellino comparire su un grande e “obeso” mandolino. Una sproporzione evidente, ma necessaria per la sua sperimentazione. In realtà tale sproporzione non era studiata, ma si dimostrò la chiave di cui il pittore era alla ricerca per poter raggiungere la dilazione e la volumetria necessaria da dare ad oggetti e figure.

La rotondità quindi, coincide con la predilezione per la plasticità dell’arte classica e rinascimentale. Non possiamo però dimenticare le radici natali di Botero. In Colombia e nella cultura popolare dell’America latina, il grasso è assimilato a elementi positivi: salute, gioia di vivere, piacere… la persona grassa è sintomo di felicità e di buon umore. Inoltre, il popolo latino è profondamente radicato nei propri miti e nelle proprie leggende, ha un carattere che tende all’esagerazione e alla sovrabbondanza. Le loro radici sono “barocche” e lo si vede molto bene nelle loro chiese, sfarzose e ricche di eccessi. Si deve perciò vedere anche una radice culturale nel proprio modo di fare arte.


Torniamo adesso alla mostra del Vittoriano. I temi che maggiormente mi hanno colpito sono stati la copia dei maestri passati e le nature morte. Come rimanere indifferenti davanti alla rivisitazione dei ritratti di Federico da Montefeltro e Battista Sforza di Piero della Francesca, conservati agli Uffizi di Firenze? I loro volti si sono espansi e prendono quasi tutta la tela. E come non notare la rivisitazione della “Fornarina” di Raffaello? Anche in questo caso una donna dilatata che però ha perso ovviamente di sensualità, per conquistare l’ironia.

Nella sezione dedicata alle nature morte, iniziata alla fine degli anni Sessanta, vediamo ben chiaro l’intento di Botero. La sua idea di volumetria e dilatazione è qui adattata ad oggetti inanimati: mele, pere, banane, arance. Non sono quindi gli esseri umani a “gonfiarsi”, ma oggetti. Questo fa capire come la sua ricerca sia orientata verso il mondo e non solo verso la figura umana. Ci dice Botero stesso:

Quando dipingo una mela o un’arancia, so che si potrà riconoscere che è mia e che sono io che l’ho dipinta, perché quello che io cerco è di dare ad ogni elemento del dipinto, anche al più semplice, una personalità che viene da una convinzione profonda



Molto interessante e profonda è la tematica religiosa. L’artista non si ritiene religioso, ma essendo una componente chiave nella tradizione, non può eluderla. Tanti sono i quadri che indagano questa tematica. Viene trattata quasi alla stregua di una favola, vicina al soprannaturale. Così vediamo un Cristo crocifisso, anche lui dilatato, dove però la sofferenza sembra non toccarlo. E questa è un’altra caratteristica dell’arte del pittore colombiano: l’apatia dei personaggi. Tutti, uomini, donne, bambini e perfino animali, non sono mai solcati da nessun tipo di espressione. Sembrano quasi pupazzi gonfiabili che, nonostante la loro apparente pesantezza, risultano ai nostri occhi leggeri come un palloncino. Le atmosfere sono senza tempo e la luce non viene da una fonte esterna, ma promana dalle figure stesse. In questo discorso, la tematica del circo è esemplare. In mostra abbiamo alcuni esempi. Botero si era innamorato del circo durante il suo soggiorno in Messico. L’atmosfera che si respira non è però di felicità, nonostante i colori allegri. I personaggi sono apatici, senza un minimo di espressione sui loro volti.

Nella serie delle figure nude, sembra chiaro il riferimento al soggetto delle bagnanti che tanto era stato usato da artisti come Ingres, nell’Ottocento. In questo caso le donne, nude, sono colte in momenti della loro vita quotidiana, come la toletta mattutina, mentre si pettinano i capelli o si ammirano allo specchio. Anche qui i sentimenti non traspaiono e la sensazione che abbiamo è quella di calma e quiete.


Diamo un piccolo sguardo anche alle sculture. Botero si interessò di questa tecnica agli inizi degli anni Sessanta. Per ragioni economiche, in quel momento non poteva fare uso del bronzo e per ovviare a questo problema, utilizzò materie acriliche e segature. Essendo però dei materiali molto deteriorabili, rimane oggi molto poco. Solo negli anni Settanta, quando si trasferì a Parigi, si dedicò alla scultura utilizzando il bronzo. A Pietrasanta, aveva la sua casa e il suo atelier e nelle vicinanze le cave più famose, quelle di Carrara, che resero celebre Michelangelo Buonarroti. In questa zona inoltre Botero aveva trovato le migliori fonderie. Anche con la scultura continua il suo studio sulla dilazione dei corpi e in mostra ci sono esempi eloquenti. Al di fuori del Vittoriano, è esposto un cavallo gigante in bronzo, una serie che arrivò in tante città del mondo. All’interno, proprio all’inizio del percorso, prendono posto quattro sculture. La più interessante è sicuramente “La Leda e il cigno” (2006). Chiaro è il riferimento all’iconografia rinascimentale degli “amori di Giove”. Non possiamo dimenticare il famoso ciclo del Correggio per Federico II duca di Mantova. La “Leda e il cigno” era uno dei soggetti. Giove, sotto forma di cigno appunto, ha sedotto la ninfa Leda, da cui sono nati i figli. Famosa è anche la versione di Leonardo (purtroppo rimasta solo grazie ad alcune copie), dove vediamo una variante iconografica al soggetto tradizionalmente rappresentato: Leda è in ginocchio e sta assistendo allo schiudersi delle due uova, da cui stanno nascendo i suoi figli: i Dioscuri da un uovo e Clitennestra ed Elena dall’altro.

Nel complesso la mostra è stata bene organizzata, un po’ più piccola del normale, ma l’Ala Brasini ha dimensioni più contenute. Ottima l’idea di dividere i quadri per aree tematiche e non per ordine cronologico, anche perché molte delle prime opere del maestro, sono oggi introvabili. Accurata scelta dei quadri, ben ponderata a seconda del contesto.

Consiglio di vederla assolutamente e di soffermarsi e ragionare sull’intento artistico di Botero. Non si parla di uomini obesi, ma di uomini plasmati e dilatati nello spazio. È una precisa e chiara dichiarazione artistica del maestro colombiano.

Tutte le foto le ho scattate personalmente alla mostra.





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