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Caravaggio e i caravaggisti


Parliamo oggi dei cosiddetti “caravaggisti”, ossia quei pittori che hanno copiato e imitato l’arte del Caravaggio. La maggior parte di loro si avvicinò al maestro lombardo dopo la sua morte e non prima della metà del Seicento. Pochi furono coloro che lo conobbero in vita, poiché Caravaggio non aveva una bottega. Aveva avuto sicuramente degli aiutanti, ma non ebbe una scuola, come invece Leonardo o Raffaello ad esempio. Conosciamo il nome di un servitore di Caravaggio dal documento di denuncia che ricevette da Giovanni Baglione, per aver scritto dei versi ingiuriosi contro di lui. Da questo atto salta fuori il nome di un certo Bartolomeo, che è stato accostato dalla critica a Bartolomeo Manfredi, uno dei tanti caravaggisti. Questo fatto testimonia la presenza di giovani ragazzi, che possiamo definire “apprendisti” (un termine però da prendere con le pinze, perché non fecero bottega vera e propria) che hanno conosciuto Caravaggio e appreso le sue tecniche e i temi iconografici. Rimangono comunque un numero esiguo e i più si avvicinarono al Merisi solo dopo la sua morte. Da dove presero i modelli? Dai quadri stessi del pittore lombardo, sparsi un po’ in tutta Italia. “Il martirio di sant’Orsola”, considerato il suo ultimo quadro, si trovava a Genova perché commissionato dalla famiglia Doria. A Napoli e in Sicilia c’erano quadri come “La decollazione del Battista” e “Le sette opere della misericordia”. Gli spunti non mancavano e gli artisti non se li lasciarono sfuggire. Cominciarono così a fioccare copie dei quadri. La “Cattura di Cristo” è uno di questi ed è stato sicuramente il più imitato. In quel periodo di trovava a Roma, dalla famiglia Mattei, che lo commissionò. Poi, per una serie di rocambolesche vicissitudini, andò a finire a Dublino e venne riscoperto solo nel 1990, ma ne esistono molte varianti. Per esempio una copia di bassa fattura è conservata ad Odessa. I primi quadri di Caravaggio, quelli realizzati durante il suo soggiorno romano, quindi “La buona ventura”, “I bari”, il “Suonatore di liuto”… sono stati i soggetti più copiati dai caravaggisti. Non perché Caravaggio fu l’inventore di questi generi, ma perché, grazie a lui, si diffusero con importanti novità iconografiche.


Bartolomeo Manfredi

Purtroppo non si conoscono i profili artistici di tutti i caravaggisti. Di molti abbiamo solo qualche dato sporadico, di altri qualcosa di più, ma la cosa certa è che non tutti hanno avuto lo stesso rapporto con l’influenza caravaggesca. C’è chi si è avvicinato al maestro lombardo solo nei primi momenti della propria carriera, chi ne ha preso qualche spunto e chi ne ha mantenuto i caratteri per tutta la vita. Per esempio, pittori come Rubens, Guercino, Guido Reni e Piero da Cortona, hanno degli evidenti richiami alle opere di Caravaggio, ma non possono essere definiti caravaggisti. Quali sono quindi i criteri che definiscono un pittore caravaggista? Non si possono dare delle regole precise, è importante però quanto un artista è stato influenzato da Caravaggio e in che modo. Proprio per questo andiamo a vederne qualcuno nello specifico.

Cominciamo con Bartolomeo Manfredi che, come detto prima, è stato uno dei primi segaci di Caravaggio e uno dei suoi “apprendisti”. Essendo stato nella sua bottega, i temi giovanili del Merisi sono stati ben inglobati. Basti citare “Bacco e un bevitore” e “Cristo tra i dottori” per capire di cosa si sta parlando.

Mario Minniti invece, dopo la morte di Caravaggio, si dedicò alle reinterpretazioni delle tarde opere del maestro.

Cecco del Caravaggio, identificato dalla critica con Francesco Buoneri, si appassionò alle tematiche di genere e realizzò quadri che vedevano come protagonisti i bari o suonatori di strumenti musicali.

Come non citare poi Artemisia Gentileschi? Secondo quanto ci dice l’Agnati, Caravaggio si recava spesso nello studio di Orazio per comprare le travi da sostegno per le proprie opere e si pensa che anche Artemisia, da piccola, abbia frequentato lo studio del Merisi. Questa teoria non è purtroppo certa, sicuramente però la giovane pittrice vide dal padre alcuni temi caravaggeschi e soprattutto vide opere dirette di Caravaggio. Le tante versioni di “Giuditta e Oloferne”, oltre che testimoniare uno spiacevole fatto della sua vita (la violenza subita dal suo maestro di disegno Agostino Tassi), evidenziano la conoscenza del lombardo, in particolar modo dell’opera “Giuditta e Oloferne”.

La riscoperta del caravaggismo italiano è cominciato negli anni Cinquanta del Novecento, in concomitanza con la riscoperta di Caravaggio stesso che, ormai da secoli, era stato totalmente dimenticato. In molti casi i loro quadri sono stati utili per poter capire opere di Caravaggio che erano state perdute oppure non ancora riportate alla luce.

Ma il caravaggismo non è stato un fenomeno solo italiano, al contrario si è riversato anche in Europa, con un particolare riguardo a Francia, Paesi Bassi e Spagna.


Per quanto riguarda la Francia, tanti giovani pittori si recarono in Italia nel secondo decennio del XVII secolo e qui conobbero Caravaggio. Alcuni di questi proseguì con lo stile caravaggesco anche una volta tornato in patria, altri invece se ne allontanarono un po’per tornare a temi precedenti o per scoprirne altri. Georges de La Tours ( è sicuramente uno dei più importanti, anche se non abbiamo certezze di un suo soggiorno in Italia. In qualsiasi caso, conosceva i primi quadri di Caravaggio. Basti citare una tela come “la Buona Ventura”, dove il richiamo all’opera del Merisi è palese. L’influenza caravaggesca lo accompagnerà tutta la vita.

Il primo francese a toccare il suolo di Roma invece, è stato Valentin de Boulogne, intorno al 1611. Sappiamo poco della sua formazione e dei suoi esordi. La prima opera documentata è del 1627, cinque anni prima della sua morte. Da questa data i suoi lavori cominciano ad essere testimoniati e si conoscono una serie di collaborazioni con i Barberini e per la basilica di San Pietro. Le sue figure sono monumentali, immobili e molto malinconiche. Le tematiche più usate sono sicuramente quelle dei suonatori e dei giocatori di carte, a cui si aggiunge quella degli indovini. Lo stile è vicino a quello di Bartolomeo Manfredi, da cui deriva la dicitura “manfrediana methodus”.

Simon Vouet arrivò a Roma nei primi anni del secondo decennio del Seicento. La prima presenza sicura è del 1613. Ebbe rapporti molto stretti con Valentin de Boulogne. La sua fama è quella di ritrattista, caratteristica che continua a praticare anche a Roma. Il suo stile vede figure grande a mezzo busto (tipica dei quadri di genere di Caravaggio), con l’inserimento di luce e chiaroscuro appresi dal suo soggiorno veneziano. Nel quadro “La Buona Ventura” del 1617, vediamo una reinterpretazione del soggetto caravaggesco, con riferimenti alla “manfrediana methodus”.


I pittori francesi quindi, ripresero tematiche giovanili del maestro lombardo, ma le riadattarono a loro piacimento. Insieme a musici e giocatori di carte vediamo vecchie sdentate, donne scollate e vecchi rozzi. Sembrano voler evidenziare un aspetto cupo di quel mondo.

Esponente di spicco e sicuramente il più conosciuto è Gerrit van Honthorst (anche detto “Gherardo delle Notti” per le atmosfere cupe e notturne dei suoi quadri). Fa parte, insieme a Hendrick ter Brugghen e Dirck van Baburen, del gruppo dei “Caravaggisti di Utrecht”. Le loro caratteristiche principali vedono un ampio uso del chiaroscuro e il taglio del piano del dipinto, per fare in modo che le figure siano subito visibili. Nei Paesi Bassi il caravaggismo riflette le divisioni politiche dell’inizio del XVII secolo. L’Unione di Utrecht divise in due le regioni del nord da quelle del sud e nacque la Repubblica delle Province Unite. Le Fiandre rimasero unite alla Spagna e Liegi creò un principato ecclesiastico indipendente.

Il fatto che il caravaggismo attecchì anche in Olanda, Fiandre e nella città di Liegi, fa capire come tanti pittori si spostarono in Italia in soggiorni più o meno lunghi. Qui appresero la lezione del Merisi. Inoltre è attestata la presenza di originali di Caravaggio, come la ”Madonna del Rosario” comprata per la chiesa domenicana di Anversa (oggi a Vienna) ed è attestata anche la presenza ad Amsterdam di una “Giuditta e Oloferne”, oggi dispersa.


Naturalmente i tre artisti di Utrecht non sono gli unici caravaggisti olandesi, ma per questioni di spazio, mi limiterò a parlare solo di Gherardo delle Notti. Attivo in Italia negli anni dieci del Seicento, ebbe commissioni importanti da parte di Vincenzo Giustiniani e Scipione Borghese. Si specializzò non solo in scene religiose, ma anche in quelle di genere, con quadri come “La Mezzana” e la “Servetta con pulci”. Dopo un viaggio in Inghilterra, intorno al 1628, perse lo stile caravaggesco. Il luminismo caravaggesco viene interpretato in chiave di luminismo artificiale, con uno studio attento di luci e tenebre. Il suo genere preferito era quello dei banchetti a cui univa scene di corteggiamento con musici, giovani che giocano a carte e dame scollate.

Il quadro la “Cattura di Cristo” del Merisi, il più bello (a parer mio) che l’artista ci abbia lasciato, è stato a lungo attribuito proprio a Gherardo delle Notti. Infatti, nei tanti inventari della famiglia Mattei, in particolare in quelli della fine del Seicento, il quadro non era più citato come opera di Caravaggio, ma era attribuito all’olandese Gherardo delle Notti. Non sappiamo il perché di questo cambiamento. Si pensa ad inesperienza della persona incaricata di stilare l’inventario, ma non è da escludere un oscuramento della tela (dovuta alle vernici che coprivano l’olio) e che hanno fatto ipotizzare un’attribuzione all’olandese, già famoso in quel tempo per le sue atmosfere cupe e notturne. Quindi si è pensato a lungo che il quadro potesse essere una copia dell’originale di Caravaggio. Dopo la metà dell’Ottocento si persero le tracce del quadro e solo nel 1990 venne riscoperto a Dublino in un convento di gesuiti dal restauratore italiano Sergio Benedetti. Ancora lo si credeva una copia di Gherardo delle Notti, ma dopo un’ampia pulitura, si scoprì la vera natura del quadro e l’attribuzione a Caravaggio.

In definitiva, possiamo stabilire con certezza che il caravaggismo fu un movimento europeo, che coinvolse una grande cerchia di artisti, interessati alle tecniche innovative del Caravaggio. Nonostante tutto però, i pittori caravaggisti riuscirono ad imitare le forme, le iconografie, le luci, ma non l’”anima” dei quadri di Caravaggio, che rimangono tutt’oggi unici ed inimitabili. Il suo modo di dipingere, la sua luce teatrale e scenografica e la tipizzazione dei suoi personaggi, non ha eguali nella storia dell’arte. Michelangelo Merisi da Caravaggio rimarrà un genio del suo tempo, intoccabile da tutti gli artisti che verranno dopo.



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