Sono stata il weekend scorso a visitare la “mini” mostra “Caravaggio nel patrimonio del Fondo Edifici di Culto. Il doppio e la copia” a Palazzo Barberini a Roma. È stata realizzata per il trentennale del FEC (Fondo Edifici di Culto) e sono stati messi a confronto gli originali con le copie di due quadri del pittore lombardo. Inutile dire l’emozione nel vedere questi capolavori, soprattutto la “Flagellazione di Cristo”. Imponente e maestosa, dominava la sala dove era stata allestita. Con la sua teatralità emanava un pathos mai visto prima
La FEC lavora proprio sul restauro e la conservazione dei capolavori dell’arte e conserva ben cinque dipinti di Caravaggio nella sua collezione. In mostra abbiamo l’originale della “Flagellazione di Cristo” del Museo Nazionale di Capodimonte di Napoli, con la sua copia, attribuita con alcuni dubbi ad Andrea Vaccaro e il “San Francesco in meditazione” di Carpineto Romano (considerato dai più l’originale) con la copia della chiesa di Santa Maria della Concezione a Roma.
Per quanto riguarda la prima coppia di dipinti, la differenza è evidente fin dalla prima occhiata. La “Flagellazione di Cristo” è stata realizzata per la famiglia de’ Franchis, originaria di Genova, per la loro cappella nella chiesa di San Domenico Maggiore a Napoli. La datazione è stata posta al 1607. La famiglia de’ Franchis aveva un notevole prestigio e due dei suoi esponenti, Gerolamo e Lorenzo de’ Franchis, sembra fossero membri del Pio Monte della Misericordia, nella cui chiesa, Caravaggio aveva realizzato un’altra bellissima pala e che probabilmente conoscevano molto bene. Nel corso degli anni, la “Flagellazione di Cristo” subì modifiche sulla collocazione. Nel 1632 la famiglia acquistò la Cappella Spinelli di Tarsia, che si trovava accanto alla loro e la inglobarono. Per questo motivo la pala venne spostata per alcuni anni nelle pareti laterali, per tornare poi al suo posto nel 1652, a lavori ultimati. Circa vent’anni dopo, i padri domenicani sostituirono la pala del Merisi, con una statua raffigurante la “Madonna del Rosario” e, da quel momento, la pala venne posizionata in una delle pareti laterali. Nel 1972, per problemi conservativi, venne spostata al Museo di Capodimonte, dove è in prestito permanente ancora oggi.
Di notevoli dimensioni, rappresenta il Cristo, legato alla colonna, torturato dai suoi carnefici. Due sono in piedi, un terzo è chinato con il volto in ombra. La teatralità della scena è straordinaria: la luce tornisce i corpi e nello stesso tempo li enfatizza. Il Cristo è rassegnato, il volto piegato verso il basso con gli occhi chiusi, forse per non vedere chi lo sta torturando. Esami radiografici hanno dimostrato come originariamente al posto della figura del carnefice di destra, Caravaggio aveva dipinto un uomo inginocchiato. Prima si pensava al committente, Vincenzo de’ Franchis, poi altri esami, condotti poco prima di questa mostra, hanno svelato i tratti di uno scapolare con cappuccio, da identificare come la figura di un domenicano. Forse un membro della chiesa di San Domenico Maggiore?
La copia in mostra è l’unica che si conosce. La differenza è subito evidente: il pathos è quasi assente, la teatralità data dalla luce non c’è. Si può dire che sia una buona copia a livello iconografico, ma non a livello di “sentimenti” tipici del Caravaggio.
Del “San Francesco in meditazione” sono state esposte due versioni. L’originale, considerato quello di Carpineto Romano (anche se da tempo si trova nei depositi di Palazzo Barberini) e una copia conservata nella chiesa di Santa Maria della Concezione a Roma. Ne esistono in realtà tante altre dello stesso soggetto, ma queste sono considerate le migliori. La versione di Carpineto Romano non sappiamo come giunse dentro il convento, che venne fondato nel 1609 da Pietro Aldobrandini. Non compare nemmeno citata in nessun documento storico. La sua attribuzione a Caravaggio risale al 1908 e si ritiene sia stata realizzata durante il soggiorno del pittore presso i Colonna, dopo essere scappato da Roma per l’omicidio di Ranuccio Tomassoni. Nel 1968, venne scoperta la copia in mostra. C’è chi ritiene che entrambi i quadri siano delle copie di un originale perduto. Bisogna dire però che tutte e due sono molto simili e di buonissima fattura. Ma, ad un’attenta osservazione, si nota una maggiore precisione nella versione di Carpineto Romano che, per questo motivo, è stata considerata l’originale.
Roberto Longhi ha sempre sostenuto che Caravaggio non avrebbe quasi mai copiato se stesso. Ad oggi sono poche le versioni di cui conosciamo copie certe attribuite a Caravaggio: “Ragazzo morso da un ramarro”, la “Buon ventura” e i “Musici”. La cosa sicura è che nel Seicento le copie delle sue opere si moltiplicarono e questo era dovuto sia alla fortuna del soggetto, sia al mercato del committente che conservava l’originale. Era lui che poteva commissionare delle copie per fare dei regali o per finalità di vendita.
A questo punto la domanda è una sola: come si fa a riconoscere un originale da una copia? Prima di tutto non è sufficiente solo l’osservazione diretta del quadro che, è vero mette in evidenza molti aspetti, ma non tutti e a questo punto solo le indagini radiografiche e in IR, possono dare una risposta certa. Infatti, tramite questi studi, si è evidenziato come Caravaggio fosse solito realizzare sottili incisioni sulla superficie pittorica, cosa che nelle copie non è stato minimamente trovato.
Consiglio vivamente di andarla a vedere. Sarà possibile fino al 16 luglio.