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Emozione Arte

Il parco dei mostri a Bomarzo: relazioni con l'Hypnerotomachia Poliphili?


Sono stata qualche settimana fa a visitare il bellissimo “Parco dei mostri” a Bomarzo, vicino Viterbo. Oltre ad essere davvero affascinante e potremmo dire “esoterico”, questo parco nasconde dentro di sé dei significati reconditi, ancora oggi sconosciuti.

Intanto chi fu il suo proprietario e committente? Pier Francesco Orsini, anche detto Vicino Orsini, figlio di Gian Corrado Orsini e Clarice Orsini, nato il 4 luglio 1523. Divenne signore di Bomarzo nel 1542, fino alla sua morte, avvenuta nel 1585. Vicino era un “uomo d’armi”. Tante sono state le battaglie da lui intraprese: l’assedio di Perpignan e numerose guerriglie al seguito di Carlo V. Una delle ultime guerre combattute, fu al fianco di Papa Paolo IV, comandante della fanteria di Velletri. Stiamo parlando delle “guerre d’Italia”, del 1556-57. Avversario del Papa era il viceregno spagnolo di Napoli. Fu durante questa guerra che avvenne la distruzione di Montefortino (l’attuale Artena). Come accadde? Il popolo di Montefortino si schierò dalla parte spagnola, uccidendo oltre cento fanti appartenenti al comando di Vicino e del Papa. In tutta risposta quest’ultimo, assediò la città, riducendola a ferro e fuoco e uccidendo gran parte della popolazione. Non sappiamo quanto Vicino fosse coinvolto personalmente nell'uccisione del popolo, ma la cosa certa è che, dopo questo terribile assedio, abbandonò la carriera militare e si ritirò nel bosco di Bomarzo. Forse rimase traumatizzato da tutta questa brutalità? Possibile, anche se non abbiamo delle testimonianze certe. Sicuramente la costruzione del parco era già iniziata da qualche anno, quindi quando Vicino vi si stabilì nel 1557-58, molte sculture dovevano essere già state realizzate.


Durante il suo ritiro a Bomarzo, Vicino si dedicò completamente allo studio e alla lettura di libri. Era in stretto contatto epistolare con l’amico Giovanni Drouet, che risiedeva a Roma e proprio quest’ultimo gli inviava tantissimi libri (almeno cinque a settimana). Non conosciamo tutti i titoli dei testi che l’Orsini amava leggere, ma quelli noti evidenziano un interesse per i classici latini, oltre che per l’astrologia e la farmacologia. Drouet amava l’astrologia e aveva fatto l’oroscopo ad una figlia di Vicino: Oronthea. Anche l’alchimia era una materia che lo affascinava, insieme alla medicina. Sappiamo che Vicino stava cercando un modo per poter vivere più a lungo e si immerse così nella lettura di un testo intitolato “Come l’huomo può vivere più di CXX anni” di Tommaso Philologo. Questo interesse era forte a causa di una sua ipotetica depressione. Sappiamo infatti che, dopo aver abbandonato la carriera militare e dopo la morte della moglie Giulia Farnese, non si recò più a Roma. Voleva vivere più in pace possibile nel sacro bosco. Qualche anno dopo però, anche quest’ultimo non lo soddisfaceva più e solo le lettere dell’amico e le letture lo facevano sentire meglio.

Un aspetto molto interessante è la forte relazione che il parco di Bomarzo ha con l’”Hypnerotomachia Poliphili” di Francesco Colonna, definito un “romanzo” allegorico e pieno di significati nascosti. Due sono in particolare le sculture che me l’hanno riportato alla memoria. Sto parlando del rilievo con le “Tre Grazie” e la scultura della tartaruga gigantesca, anche se non saranno gli unici (basti pensare all'elefante "obeliscoforo"). I vari significati li vedremo tra poco, per ora basti sapere che sono state riscontrate delle relazioni di parentela tra Francesco Colonna e gli Orsini. La possibilità quindi che Vicino Orsini si possa essere ispirato al “Polifilo” è sempre più certa. Ma quali sono i rapporti che legano le due famiglie? Francesco Colonna sposò una Orsini: Orsina Orsini. Il fratello di lui, Giovanni, si unì in matrimonio con Giustina Orsini. Giulia Farnese, la moglie di Vicino, era la pronipote di Bartolomeo, fratello di Paolo III (che era cugino di Francesco Colonna), figlio di un fratello di Eugenia (la madre di Francesco). Di conseguenza anche Bartolomeo era un cugino carnale del nostro Colonna. Il padre di Vicino, Gian Corrado Orsini, aveva comprato un feudo appartenuto a Francesco Colonna nel 1502: il castello della Penna con tutto il territorio annesso. Ma da chi Vicino Orsini aveva sentito parlare dell’Hypnerotomachia? Non da Francesco Colonna, che era morto prima della sua nascita, ma dai nipoti del Colonna. A Firenze incontrò il nipote Mario e a Montefortino il nipote Francesco junior. Probabilmente conobbe il loro padre: Stefano Colonna (il primogenito di Francesco). È quindi quasi indiscutibile la conoscenza, tramite questi personaggi, dell’Hypnerotomachia Poliphili. Inoltre il legame sia Polifilo che Vicino dedicano la loro “opera” alla donna amata: Polia per il prima e Giulia Farnese per il secondo. Nel parco sono tanti i richiami alle xilografie che si trovano nel libro del Colonna. Parleremo di alcune di queste, quelle che ritengo più importanti.

La prima è la statua della tartaruga gigante, sormontata da una donna (oggi mutila). All’interno dell’Hypnerotomachia, ricorre spesso la figura della testuggine e il motto a lei legato “Festina tarde” (o “Festina lente”), ossia “Affrettati lentamente”. Lo vediamo in una xilografia (in tutto ne sono presenti 172) dove una donna reca in mano, da una parte delle ali e dall’altra una tartaruga e al di sotto il motto “Festina lente”. Chi era invece la donna che sormontava l’animale? Abbiamo detto che oggi è mutila, ma grazie ad un disegno del Guerra e a un acquarello del XVII secolo, possiamo scoprirne l’identità. La donna aveva delle ali e suonava due trombe. È chiaramente l’iconografia della “Fama” che ha le ali e due trombe, una per indicare la buona sorte e l’altra la cattiva. Nella scultura, la donna dava fiato ad entrambe le trombe e poggiava su un globo con un solo piede. Molto probabilmente la “Fama” di Bomarzo incarna anche la Fortuna e la si vuole collegare al motto “Festina lente”. La Fama non è meno veloce della Fortuna e si diffonde rapida sia nel bene che nel male. Proprio di fronte alla tartaruga, si trova un’orca dalla bocca spalancata, come ad indicare un pericolo che però può essere salvaguardato con una condotta prudente e veloce. Ma proprio riguardo l’orca, è stata data un’altra lettura. Maurizio Calvesi ha ricordato un’illustrazione dell’”Orlando furioso” nell’edizione del 1563, curata da Giovanni Andrea dell’Anguillara. Costui apparteneva al ramo cadetto della famiglia e aveva dei rapporti di parentela con gli Orsini. Sicuramente conosceva Vicino Orsini e nel 1566 ebbe contatti con il cardinale Madruzzo. L’illustrazione in questione, rappresenta l’orca con la bocca aperta, quindi uguale alla scultura nel parco. Non dobbiamo dimenticare però, che l’orca ha anche precedenti medievali, soprattutto nelle rappresentazioni dell’Inferno.


Altra decorazione importante e ricollegabile all’Hypnerotomachia, è il rilievo delle “Tre Grazie” all’interno di una nicchia. Ricorda l’edificio termale che Polifilo vede e dove si incontra con cinque ninfe. Qui vede la famosa statua delle “Tre Grazie” che è quasi sicuramente il richiamo all’omonima statua di Silvio Piccolomini conservata nella biblioteca di Siena. Si tratta di una copia romana di un originale greco ellenistico. Era appartenuto alla famiglia Colonna almeno fino agli anni Ottanta del Quattrocento, poi passò ai Piccolomini.

Non possiamo tralasciare la grande scultura che ad oggi viene descritta come “Ercole e Caco”, proprio dietro la tartaruga e l’orca. Rappresenta un gigante che sta squartando un uomo (o forse una donna?), preso da un’ira funesta. Accanto ci sono due iscrizioni: la prima fa un confronto con il colosso di Rodi, l’altra è purtroppo non più totalmente leggibile, ma si è ipotizzato possa alludere ad un confronto con Orlando. Il tutto è testimoniato da una lettera che Vicino scrisse all’amico Drouet, dove parla proprio di una scultura che rappresentava l’Orlando furioso. Tra tutte quelle del parco, non poteva essere che questa. In particolare rappresenterebbe il momento in cui Orlando ha perso il senno per Angelica e a causa di ciò, si aggira nudo e con la barba folta, in preda alla follia. Nel suo cammino incontra un pastorello che uccide. Dietro la colossale scultura, si vedono infatti l’elmo e la corazza che Orlando si sarebbe tolto.




Per quanto riguarda invece la cronologia del parco? Si trovano degli elementi nelle lettere che Annibal Caro scrisse a Vicino nell’ottobre e nel dicembre 1564. All’interno si parla di Torquato Conti che voleva dotare il suo parco a Poli (villa di Catena) di sculture più “stravaganti” di quelle di Vicino Orsini. A quel tempo quindi è indubbio che una buona parte del progetto scultoreo doveva essere stato portato a termine. Inoltre, cosa si intende per sculture “stravaganti”? Chi ha visitato il parco o ha visto qualche foto in giro per il web, si sarà reso conto delle creature mostruose che lo popolano: orchi con le fauci spalancate, giganti che squartano nemici… da dove deriva questo stile? Si è parlato molto del vescovo di Trento Cristoforo Madruzzo che, nel periodo dell’Orsini, viveva a Soriano. I due si conoscevano molto bene, infatti entrambi frequentavano le loro rispettive ville. Madruzzo aveva sempre vissuto al nord e, essendo di Trento, avrà sicuramente visitato Mantova che in quel periodo vedeva la presenza degli affreschi di Giulio Romano a Palazzo Te. Anche qui sono tantissime le figure di giganti e “mostri”. Madruzzo mandava pittori del posto (Trentino) a visitare la città di Mantova e organizzava delle feste fantasmagoriche, con scenografie pazzesche (leoni che sputavano fuoco, oppure asini dalle narici e dalle orecchie sprizzanti fiamme). È molto probabile quindi che il cardinale ne abbia parlato con l’Orsini e lui ne abbia preso spunto per la realizzazione delle sculture del parco.

Ma in tutto ciò, chi è lo scultore del parco? Non è ancora accertato, ma si pone il nome di Francesco Moschino e del figlio Simone. Li nomina proprio Vicino Orsini in una lettera al Drouet. Non sappiamo però se si occuparono di tutte le sculture e probabilmente alcuni disegni li progettò anche Vicino, dando spunti e idee su come realizzare determinate sculture. C’è anche chi ha ipotizzato l’intervento di Pirro Ligorio (che tra l’altro aveva lavorato pochissimo tempo prima a Tivoli).

Gli argomenti da trattare sarebbero ancora molti, ma per questioni di spazio e elasticità dell’articolo, mi fermo qui. Spero di aver dato degli spunti interessanti di studio e di aver chiarito alcuni elementi del parco, di cui ancora molto è avvolto dal mistero.

Se volete approfondire l'argomento, vi consiglio la lettura del testo di Maurizio Calvesi "Gli incantesimi di Bomarzo", veramente bello e illuminante.

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