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Emozione Arte

Perché l'arte contemporanea appare incomprensibile?


La prima domanda che tutti si pongono davanti ad un’opera di arte contemporanea, è di solito questa: “Questa è arte?”, oppure “Lo potevo fare anche io”. L’arte è sicuramente cambiata dal tempo di Leonardo e Michelangelo, non c’è dubbio, ed è sempre più difficile capire quello che ci troviamo davanti. Il fatto di non riuscire a comprendere l’opera, la sua forma, il suo senso, porta il pubblico a dare un giudizio negativo e spesso affrettato. Secondo Umberto Eco, nel “Trattato di semiotica generale”, l’opera d’arte deve essere come un testo di un libro: leggibile. Se andiamo però a ritroso nel tempo, vediamo come la leggibilità di un’opera non è mai stata una cosa chiara. Un quadro, una pala d’altare o un polittico, non vogliono significare a tutti i costi leggibilità e chiarezza, anzi, nella maggior parte dei casi ancora oggi ci si interroga sui loro significati. Basti pensare alla “Gioconda” di Leonardo, la cui identità è ancora tutta da svelare (Lisa del Giocondo, Bianca Sforza, Leonardo stesso in veste femminile, il cadavere della madre dell’artista), insomma tante ne sono state dette, ma nessuna è sicura e forse non lo sarà mai. Per fare un altro esempio, ricordiamo la famosissima tela de “I coniugi Arnolfini” del fiammingo Jan van Eyck. Sembra tutto lì, davanti a noi, ma in realtà non è così. Tante sono le domande e si è messo anche in dubbio che i due personaggi siano proprio gli Arnolfini. Ma il lettore potrebbe obiettare dicendo che l’arte contemporanea è diversa e che il paragone non sussiste. Da una parte potrebbe essere vero, ma dall’altra non molto. Ogni momento artistico deve essere pensato e ragionato nel tempo in cui si trova. Come oggi siamo scettici davanti l’arte di Marina Abramovich, o le opere kitsch e pop di Jeff Koons, un tempo si era critici nei confronti di alcune tele o di cicli di affreschi realizzati dagli artisti più in voga. Ricordiamo Michelangelo Buonarroti come uno dei geni del Rinascimento, ma non fu esente da critiche, anche piuttosto forti. Si ricordi il “Giudizio Universale” e il problema dei nudi. Anche Caravaggio, portatore di una ventata d’arte rivoluzionaria, ebbe non pochi problemi con l’accettazione di alcuni dei suoi dipinti più belli (oltre che i problemi con la giustizia per i guai in cui si cacciava quasi quotidianamente). Anche la pittura manierista, con i suoi grandi stravolgimenti, ha portato numerose critiche. Per fare un unico esempio, basti citare la pala con la “Deposizione di Cristo dalla croce” del Pontormo. Le figure non seguivano più nessuno schema compositivo, sembravano fluttuare nell’aria, i colori erano accesi, quasi irreali. Le critiche si sprecarono e il povero Pontormo, già pieno di complessi psicologici (era un malato di igiene e aveva paura di contrarre qualsiasi malattia) dovette incassare anche questo duro colpo nei confronti della sua arte. Gli esempi potrebbero continuare all’infinito, ma questi possono bastare per far capire di cosa stiamo parlando.


L’arte di oggi vuole in molti casi espressamente provocare, superare ogni tipo di limite e lavorare a stretto contatto con il marketing. Non sono state poche le accuse rivolte ad artisti come Damien Hirst o Jeff Koons, ma la maggior parte di loro ha continuato a lavorare per la propria strada senza curarsi troppo delle voci.

Ma quando si possono avvistare i primi cambiamenti? L’assenza delle figure, inizia nei primi anni del Novecento, con i movimenti avanguardistici. L’astrattismo è sicuramente uno di questi. Kandinsky è il suo esponente principale e fondatore del “Blaue Reiter”, “Il cavaliere azzurro”, manifesto del movimento. Naturalmente anche lui, come tutti i pittori del tempo, ha avuto una fase iniziale prettamente figurativa. Negli anni dieci si avvicina all’astrazione, con i quadri per cui ancora oggi è famoso e ammirato da tutti. Professore del Bauhaus (scuola di architettura, arte e design chiusa durante il nazismo) è stato teorico di saggi chiarificatori della sua poetica. La sua visione dava una grande importanza ai colori e alla musica. Ogni forma, arco, riga o figura geometrica, unita a un particolare colore, dava origine ad un sentimento. Gioia, allegria e a volte anche tristezza sono le emozioni più frequenti che suscitano le opere del pittore russo.

Ma a questo punto siamo ancora agli esordi dell’arte contemporanea. La figura non c’è più, sta scomparendo, oppure è difficilmente riconoscibile (cubismo, surrealismo in special modo Mirò), ma le cose diventano complicate più si va avanti. Infatti, oltre alla perdita della figura, si cominciano ad utilizzare materiali nuovi: plastica, plexiglass, materiali di scarto, oppure nuovi colori, come vernici o acrilici, realizzati chimicamente in laboratorio e più resistenti. Per non parlare delle performance, degli happening e della video art. Il Novecento ha fatto crollare ogni tipo di verità e certezza e di conseguenza la cancellazione di tutte le norme prestabilite. Da qui la nascita e la sperimentazione di ogni tipo di materiale, il voler superare il confine di pittura e scultura e andare oltre la tradizione. Inevitabile è il cambiamento: ora l’arte non si apprezza più per la bellezza esteriore, ma per il messaggio che suscita. Il bello serviva a dare armonia, suscitava la sensazione di ordine. Oggi non è più così. Si deve compiere un’operazione di smontaggio dell’opera. Pezzo dopo pezzo, si deve entrare dentro e capirne il senso. Questo nuovo approccio è necessario per conoscere l’alfabeto e la sintassi dell’artista. L’arte contemporanea diventa sempre più astratta perché le relazioni umane sono diventate sempre più astratte, volubili e timorose del passato e del futuro. La modernità ha portato sempre più incertezze (le due guerre mondiali sono un esempio importante) e questo si è rigirato anche nel mondo dell’arte. Hegel parlava di “morte dell’arte”. Secondo la sua visione filosofica mentre nell’arte classica, spirituale e sensibile, finito e infinito servivano a creare il bello ideale come un tutt’uno, l’arte moderna ha nettamente separato interno ed esterno, a causa dell’eccesso di spirituale rispetto al materiale. Questo squilibrio avrebbe portato all’arte astratta, un’arte che vuole esprimere dei contenuti, i quali però non riescono a rientrare in una forma materiale finita e hanno bisogno di altri media, come la filosofia o la religione. Non è un caso che un artista come Kazimir Malevic abbia ridotto l’arte a zero, realizzando nel 1918 la prima tela monocroma bianca. Essa diventa così un’icona, svuotata di ogni connotato devozionale intrinseco di significati. Sempre nello stesso stile Robert Rauschenberg, nel 1958, ha realizzato dei monocromi bianchi che concepiva come vuoti. Come non ricordare poi l’arte povera. Nata intorno al 1968 per volontà di Germano Celant, ha sperimentato l’uso di materiali semplici, primitivi. In molti casi l’opera aveva un ciclo di vita breve, destinato a scomparire con il passare del tempo, in altri casi poteva mutare il suo aspetto. Tutto questo sottolinea la “temporalità” dell’opera e si collega con il periodo storico in cui si vive, incerto e volubile.


Sempre in questo ambito si pone Marcel Duchamp. I suoi “ready-made” (etimologicamente “già fatto”) hanno stravolto il mondo dell’arte. L’attenzione viene spostata sugli oggetti quotidiani che, con l’aggiunta di una scritta o di un altro oggetto, diventano opere d’arte. La funzione che da sempre avevano avuto quegli oggetti viene meno e scompare. Come non ricordare il famoso “Orinatoio” o la “Ruota di bicicletta”? Il primo è un classico orinatoio, la cui artisticità viene definita dalla scritta “Mutt” sul bordo. Chi era Mutt? Il venditore di sanitari, il cui vero nome era però Matt. Duchamp ha sostituito la vocale e l’orinatoio è diventato opera d’arte. La “Ruota di bicicletta” invece, non è altro che una ruota piantata su uno sgabello. Oggi alcuni dei suoi “ready-made” si possono ammirare alla GNAM di Roma, anche se si tratta solo copie. È stata la sorella dell’artista a buttarne alcuni perché li credeva cianfrusaglie. È proprio questo aspetto a far riflettere. Chi mai, vedendo due oggetti del genere, avrebbe pensato a delle opere d’arte? Nessuno. Duchamp è un vero e proprio provocatore e vuole far ragionare il suo pubblico. È come se volesse dire:”Chi l’ha detto che una ruota di bicicletta non possa diventare un capolavoro? Io l’ho fatto!” E qui si inserisce la famosa “Gioconda con i baffi”: una riproduzione fotografica del famoso quadro vinciano, a cui sono stati aggiunti dei baffi alla Dalì. Anche questo è un “ready-made” e il titolo datogli è fortemente provocatorio: “L.H.O.O.Q.” che in francese è l’acronimo di “Elle a chaud au cul” (Lei ha davvero caldo al culo). Lo stesso Duchamp ci dice: «La Gioconda è così universalmente nota e ammirata da tutti che sono stato molto tentato di utilizzarla per dare scandalo. Ho cercato di rendere quei baffi davvero realistici».

Negli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento si affaccia nella scena artistica americana il movimento dell’Espressionismo astratto, che si allontana dalla forma e dalla figura dando spazio all’informale propriamente detto. Quello che era cominciato con l’Astrattismo del “Blau Reiter” all’inizio del secolo, continua adesso in modo ancora più forte. Ci troviamo alla fine della Seconda guerra mondiale, un periodo molto delicato dal punto di vista politico e sociale un po’ in tutto il mondo. Pollock dà vita alla tecnica del “dripping” o anche detta dell’“action painting”, dove il colore veniva gettato direttamente sulla tela, posizionata a terra, con il pennello o con le dita (a volte saliva anche sopra la tela creando una sorta di rituale tra sé stesso e l’opera). Da Pollock in poi giungono in America artisti europei che, scappati durante la guerra per sfuggire alle persecuzioni naziste (dobbiamo ricordare che la maggior parte di loro erano ebrei) vogliono crearsi una nuova vita: William de Kooning e George Mathieu sono solo alcuni degli artisti che praticarono arte senza forma, dove il segno e in particolare il gesto, erano gli unici elementi importanti.



Ma arriviamo ai giorni nostri, all’arte nel XXI secolo e capiamo che le cose sono cambiate ancora. Performance e installazioni sono i media maggiormente utilizzati e lo “shock” è quello che si deve suscitare nello spettatore. Maurizio Cattelan è uno di quegli artisti del XXI secolo che è diventato tale grazie alla perseveranza e all’intuizione della mossa giusta. Per lui l’arte è manipolazione della realtà, anche se quest’ultima è sempre presente nelle sue opere, anche se non si vede. Non ha studiato arte (lascia la scuola molto presto cominciando subito a lavorare), ma ha cominciato a mostrarne interesse dopo aver visto cataloghi e riviste che parlavano di artisti del passato. Ha cominciato così da autodidatta studiando sui libri di Giulio Carlo Argan e presto arrivò in America lavorando per numerose gallerie. Erano gli anni Settanta (lui è nato nel 1960) e da quel momento è stato tutto in discesa. Le sue opere d’arte, quasi sempre installazioni, sono tutte provocatorie e nonostante lui si dichiari a-politico, gran parte dei suoi lavori sono contro le false ideologie e le istituzioni. Cattelan non è l’unico ad aver costruito il suo lavoro senza una base di studio e questo fa sorgere la domanda se sia possibile una cosa del genere. Sono sempre di più gli artisti che diventano tali senza aver portato avanti un percorso di “apprendistato” come avveniva almeno fino alla metà nel Novecento (per non parlare poi delle botteghe quattrocentesche dove lo studio era d’obbligo). Adesso tutto è legato al marketing e alla pubblicità. Inoltre non è lui a realizzare le installazioni. Sono aziende specializzate che fanno nascere i suoi “pupazzi” e questo pone altre domande. Qual è il divario tra ideazione e realizzazione? Lui avrebbe il merito dell’idea, ma sulla realizzazione assolutamente no. Chi è l’artista allora? Purtroppo non si può dare una risposta certa, in quanto un simile quesito era sorto anche molti secoli fa per l’arte del vetro. C’era chi ideava i disegni e chi li realizzava direttamente sul vetro, i maestri vetrai. Ma a chi era l’artista? Non ci fu mai una risposta assoluta e si continuava a dare il merito primo a l’uno e poi all’altro.

Questo discorso sull’arte contemporanea non basterà a chiarire tutti gli aspetti che la contraddistinguono, ma sono essenziali per rispondere alle domande frequenti che vengono fatte. Nonostante tutto però, si penserà ancora che l’arte contemporanea sia incapace di insegnare e quindi inutile. In realtà se riuscissimo a capire il substrato che la definisce, potremmo capire e scoprire cose che fino a qualche secolo fa non era possibile cogliere.


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