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Il ''Ragazzo che monda un frutto'' di Caravaggio


Un giovane ragazzo, rappresentato a mezzo busto sta sbucciando un frutto con un coltello. È concentrato nella sua azione e non guarda direttamente il pubblico. Lo sfondo è scuro. Questa descrizione si riferisce al quadro “Ragazzo che monda un frutto” attribuito da una buona parte della critica a Caravaggio. Viene considerato la primissima opera del pittore milanese e si sostiene sia stata realizzata durante la sua permanenza presso Monsignor Pandolfo Pucci, un prelato originario di Recanati (conosciuto anche con l’appellativo di “Monsignor insalata” per l’abitudine che aveva di sfamare Caravaggio solo con questo tipo di verdura). Ricordiamo che Caravaggio era giunto a Roma dopo il suo apprendistato presso Simone Peterzano a Milano, sua città natale. Sulla data di arrivo di Caravaggio nella capitale, come molti di voi sapranno, ci sono state delle nuove scoperte, che possono essere apprese alla mostra “Dentro Caravaggio” e nel rispettivo catalogo (edito da Skira). Si era sempre sostenuto (fino al 2010) che il Merisi fosse giunto a Roma dopo il 1° luglio 1592 (in questa data compare a Caravaggio in un atto notarile). A seguito però di attente e meticolose ricerche all’Archivio di Stato di Roma, si è venuti a conoscenza di nuovi documenti. Questi ultimi fisserebbero la prima presenza a Roma dell’artista durante la Quaresima del 1596. Questo ovviamente comporta tutto uno slittamento delle date già considerate e un problema di riduzione dell’arco temporale che sarebbe servito per dipingere le sue opere a Roma. Non è però questa la sede per parlarne in maniera approfondita. Seguirà un articolo specifico proprio su questo argomento.

Tornando al nostro quadro, nelle “Considerazioni” di Mancini, si legge che Caravaggio, durante il soggiorno presso il prelato Pucci, avrebbe realizzato due quadri: il famoso “Ragazzo morso da un ramarro” e “Il ragazzo che monda un frutto”, così descritto: «[…] un putto che mondava una pera con il coltello».

Si pensa che il quadro fosse uno di quelli strappati con violenza da Papa Paolo V alla bottega del Cavalier d’Arpino (presso cui Caravaggio lavorò sempre a Roma) nel 1607. Tra questi doveva figurare anche il “Bacchino malato” e il “Ragazzo con canestra di frutta” che ora si trovano entrambi alla Galleria Borghese (infatti Paolo V aveva requisito i quadri per donarli al nipote Scipione Borghese).

Sappiamo anche però, da un elenco scritto da Lorenzo Sarego, governatore di Perugia, e inviato al cardinale Scipione Borghese, che nel 1608 esisteva un quadro, attribuito a Caravaggio, raffigurante un ragazzo che sbucciava un frutto. Questo era presente nel lascito di Cesare Crispolti, principe dell’Accademia degli Insensati. Non è però possibile sapere se Crispolti possedesse l’originale o una copia. Del quadro ne esistono infatti numerose versioni, molto probabilmente richieste da vari committenti, personaggi vicino al Pucci, o agli altri protettori del Merisi a Roma. La scena rappresentata è infatti di “genere” (secondo il Longhi un “non-soggetto”). Caravaggio ne dipinse molte in questo periodo (basti ricordare la “Buona Ventura” o i “Bari”). Si può dire sia stato Caravaggio ad inventare i quadri di genere, più colloquiali e adatti ai salotti dei principi o alle stanze private dei cardinali (come il Del Monte). Sono dei soggetti che potremmo definire “poco impegnativi” ma di gran classe.



Le versioni conosciute si trovano a Londra (ne esistono due, una al Dickinson Fine Art e l’altra ad Hampton Court Palace), Tokio, Roma e Firenze e ognuna ha delle piccole varianti soprattutto in campo luministico. Quella di Roma (in collezione privata) sembra essere la meno attinente allo stile del Merisi. Presenta infatti una durezza dei tratti che risultano troppo rigidi. Molto probabilmente è una copia realizzata da un suo seguace. Non si conosce nemmeno la provenienza e per questo è impossibile dare delle notizie certe. Le due versioni di Londra e quella di Tokio si contendono il podio e sono viste come possibili tele autografe del Caravaggio.

Purtroppo è molto arduo stabilire quali delle tre opere sia l’autentica o la prima versione (perché non è da escludere che siano copie fatte da Caravaggio stesso come allenamento in bottega). Anzi alcuni critici sostengono che l’originale sia andato perduto e tutte le versioni rimanenti non siano altro che copie ben fatte da qualche artista oggi sconosciuto. La cosa certa è che, da questo quadro in poi, tanti saranno i soggetti in cui il Merisi introdusse frutta. Per questo motivo c’è chi ha avanzato l’ipotesi che possa esserci stato un contatto tra il pittore e Arcimboldo che, milanese anche lui, si trovava in città quando Caravaggio si apprestava ad andare in bottega dal Peterzano. Conosciamo le “bizzarie” dell’Arcimboldo, le sue teste composte e reversibili, il suo amore per il dettaglio e l’interesse per la natura. Caravaggio avrebbe potuto frequentare la sua bottega (sembra infatti che i due non fossero nemmeno così lontani) e aver appreso delle basi sulla resa naturalistica della frutta. Non scordiamo che Arcimboldo era da poco ritornato dai suoi importanti soggiorni a Vienna e Praga ed era molto conosciuto per la sua arte fuori dalla norma, ma allo stesso tempo geniale e strabiliante nello stesso tempo.

Il “Ragazzo con canestra di frutta” può essere così considerato il dipinto che ha dato la “spinta” alla realizzazione dei suoi successivi capolavori, che oggi possiamo ammirare alla Galleria Borghese di Roma.

[La versione che vedete è quello di Firenze, Fondazione Longhi]


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