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Emozione Arte

La ''Battaglia di Anghiari'' di Leonardo e la Tavola Doria


La “Battaglia di Anghiari” è un dipinto su muro commissionato a Leonardo da Pier Soderini, gonfaloniere a vita della Repubblica fiorentina, per il “Salone dei Cinquecento” a Palazzo Vecchio. Ci troviamo nell’anno 1503. Anche Michelangelo Buonarroti aveva ricevuto la commissione per la realizzazione della “Battaglia di Cascina”, da affrescare sulla parete opposta. I due maestri si sono destreggiati in un “faccia a faccia” di non poco conto. Purtroppo però, nessuno dei due portò a termine l’opera ed il “Salone” è stato poi completamente affrescato da Vasari e suoi allievi.

Vorrei qui soffermarmi sulla storia della “Battaglia di Anghiari” di Leonardo e in particolare sulla “Tavola Doria”, un dipinto raffigurante un particolare dell’affresco e che da molti è stato attribuito a Leonardo stesso. Ma partiamo con ordine. Nel 1500 Leonardo è tornato a Firenze dopo un lungo soggiorno a Milano (con piccole tappe anche a Mantova e Venezia). La città non è più comandata dai Medici, cacciati nel 1494. Il potere è ora passato in mano ad un’élite di repubblicani che decide di basare la sua politica sull’arte. È questo il periodo in cui si sistema il cortile di Palazzo Vecchio, il “David” e la “Giuditta e Oloferne” di Donatello e anche il maestoso “David” di Michelangelo. Era l’ottobre del 1503 quando la Signoria di Firenze commissiona la “Battaglia di Anghiari” a Leonardo. Quest’ultima era stata combattuta il 29 giugno 1440 e vide scontrarsi i fiorentini con i loro alleati pontifici e i milanesi comandati da Niccolò Piccinnino. La vittoria sarà dei fiorentini e non è un caso che fosse stato scelto proprio questo soggetto. Si voleva esaltare la grandezza della città e la loro forza sul campo di battaglia. Leonardo accolse con grande entusiasmo la committenza. Lo attesta anche il suo “Codice Atlantico” in cui è descritta, in modo dettagliato, la battaglia che si accingerà a riprodurre. Si legge di corpi contorti su stessi e avviluppati con altri, di cavalli in corsa, insomma tutto quello che poi vedremo nella “Tavola Doria”. Come abbiamo già detto prima, l’opera non venne mai portata a termine e possiamo avere un’idea di come fosse dai suoi schizzi preparatori (che sono molti), dalla “Tavola Doria” e da alcune copie contemporanee.



Conosciamo i vari pagamenti effettuati dalla Signoria a Leonardo per la preparazione del cartone e inoltre le spese per il suo alloggio in Santa Maria Novella dove si trovava anche lo studio per realizzare la maestosa opera. Qui medita sulla tecnica da usare. Non un semplice affresco, ma l’encausto che riprese dai testi di Plinio. Sappiamo come Leonardo sperimentò sempre tecniche innovative per raggiungere quello “sfumato” a lui tanto caro. La tecnica dell’affresco non gli avrebbe permesso di stratificare il colore, perché esso doveva essere steso sull’intonaco ancora bagnato e i tempi di essiccamento erano rapidi. L’artista era solito ritoccare varie volte, anche a distanza di giorni, se non addirittura di mesi (basti ricordare l’”Ultima cena” a Milano) e l’affresco non l’avrebbe permesso.


Il cartone preparatorio è stato terminato nel febbraio 1505 e in questa data, insieme agli allievi, Leonardo si è trasferito nel Salone dei Cinquecento, per riportarlo sul muro. L’artista stesso documenta in modo molto preciso tutto il lavoro fatto una volta arrivato a Palazzo Vecchio e grazie allo studio di Carlo Pedretti, possiamo leggere anche noi i passi. Nel 1967 ha infatti ritrovato due manoscritti (chiamati MS I e MS II) che raccolgono piccoli libri con appunti di Leonardo. Veramente inediti e rivelatori del lavoro fatto per la creazione della “Battaglia di Anghiari”. Il primo “tocco di pennello” sul muro venne posto il 13 giugno 1505 e Leonardo descrive anche un brusco temporale che si abbatté su Firenze dopo poche ore dal suo inizio. Fu costretto a fermarsi perché si allentò il cartone dal muro. Nonostante tutto però, Leonardo non ci descrive cosa è raffigurato sul cartone, né su quale muro fosse posto. La descrizione dell’evento atmosferico è da interpretare oggi come un cattivo auspicio. Il temporale infatti non ha portato poi a nulla di buono. Subentrarono successivamente altri lavori che posero in “standby” la “Battaglia di Anghiari”. Nell’estate del 1503 l’artista si reca infatti a Pisa per analizzare e studiare la deviazione del corso dell’Arno per facilitare la presa della città. Il progetto non sarà poi più portato avanti per scarso interesse da parte del Governo. Leonardo continua comunque a prendere gli assegni per l’opera a Palazzo Vecchio, ma sembra non avere più tanta voglia di continuare. L’ultimo pagamento risale alla fine di ottobre del 1505. Sembra quindi che, alla fine di questo anno, Leonardo abbandoni totalmente il progetto. Quale è stato il motivo preponderante? Il fallimento della tecnica pittorica. Come detto prima, era stato scelto l’encausto che utilizzava i pigmenti stemperati nella cera nera che doveva essere sciolta dal fuoco. Leonardo una volta stesi i colori sul muro, si accinse a preparare due grandi bracieri per far seccare il tutto. Ma qualcosa andò storto. La cera invece di asciugarsi colò tutta, creando un disastro. Che colpo deve essere stato per Leonardo! Subito dopo il pittore lasciò Firenze per recarsi a Milano, chiamato da Charles d’Amboise. Tornò a Firenze solo nel settembre 1507 per questioni burocratiche riguardanti l’eredità che il padre aveva lasciato a lui e ai fratellastri. Non aveva quindi nessuna intenzione di rimettersi al lavoro a Palazzo Vecchio. Inutile descrivere lo sdegno di Pier Soderini che vide sfumare la realizzazione di una grande opera. Che cosa successe dopo e cosa rimase sul muro fino all’arrivo di Vasari? Francesco Albertini nel 1510 lascia una testimonianza nel suo “Memoriale di molte statue e picture sono nella inclyta cipta di Florentia” e scrive queste parole:

«Nella sala grande nuova del consiglio maggiore, lunga braccia 104, larga 40 è una tavola di fra Filippo, li cavalli di Leonardo et li disegni di Michelagnolo…»

Non sappiamo con certezza cosa intendesse con “li cavalli di Leonardo”. Infatti non è detto si tratti del dipinto per la “Lotta allo stendardo” che Leonardo avrebbe potuto riportare sul muro. Al contrario potrebbe essere il cartone preparatorio fatto nello studio di Santa Maria Novella e portato poi a Palazzo Vecchio. Per il critico Piel, si tratterebbe invece della “Tavola Doria”.


Anche Vasari parla del Salone del Cinquecento e sembra descrivere la “Lotta per lo stendardo” raffigurato nella “Tavola Doria”, anche se differirebbe per un dettaglio. Quindi potrebbe trattarsi di un’altra tavola, forse copia realizzata da qualche altro pittore (Vasari era solito descrivere le opere dei pittori basandosi su copie e riproduzioni). Dall’Anonimo Magliabechiano sappiamo un’altra importante notizia. Il cartone che Leonardo aveva fatto nel suo studio era stato diviso in due parti: uno si trovava nell’Ospedale di Santa Maria Novella, l’altro a Palazzo Vecchio. Proprio qui doveva esserci la “Lotta per lo stendardo”. Forse questo pezzo di cartone è stato portato anni dopo a Palazzo Medici e nel Settecento molto probabilmente si trovava ancora lì.

La “Tavola Doria” ha questo nome proprio perché era posseduta dalla famiglia genovese dei Doria dal 1621. Ma come arrivò nelle loro mani? Si possono fare solo supposizioni. Molto probabilmente grazie a buoni contatti che la famiglia genovese aveva con i Medici. Erano soliti tra l’altro, scambiarsi anche opere d’arte. È possibile quindi che la tavola sia finita nelle collezioni dei Doria tramite qualche scambio di questo genere. Nei numerosi inventari della famiglia abbiamo anche la descrizione della nostra. La troviamo nell’inventario del 1621 e viene così descritta: «una battaglia di soldati a cavallo di Leonardo da Vinci», valutata 300 scudi. Una somma molto alta, giustificata solo dal nome del grande artista. Inizialmente l’opera era detenuta da Giovan Carlo Doria e alla sua morte passò all’erede Marcantonio Doria. Sarà esposta a Milano nel 1939 per la “Mostra Leonardo da Vinci e delle invenzioni italiane” (c’era anche il “San Giovanni Battista” in prestito dal Louvre). L’anno dopo verranno messe all’asta a Napoli tutte le collezioni del principe d’Angri Marcantonio Doria, tra cui anche la “Tavola Doria”. Sarà comprata dal marchese Giovanni Niccolò De Ferrari di Genova. Alla sua morte gli eredi vendono la tavola all’antiquario fiorentino Ciardiello, per poi arrivare illegalmente tra le mani di uno svizzero di Locarno, Antonio Fasciani. Nel 1962 quest’ultimo la rivende ad una società tedesca di Monaco di Baviera, il cui proprietario è Georg Hoffmann. Qui purtroppo la tavola non venne molto curata e ci fu un distaccamento della pellicola pittorica. Alla morte di Hoffmann nel 1970 la “Tavola Doria” viene ipotecata dalla banca KGiL di Monaco. Sarà poi venduta alla società di consulenza BHB Badal che la mantenne con sé fino al 1992. Entrerà poi in possesso del Tokyo Fuji Art Museum che lo acquistò per una cifra di 30 milioni di euro. Si renderanno conto troppo tardi che l’opera è notificata e che di conseguenza non potrà essere esposta. Saranno i carabinieri del CCTPC a entrare in trattativa con i giapponesi. L’accordo si conclude così: il museo di Tokyo doveva restituire la tavola all’Italia, che diventava sua proprietaria e nello stesso tempo l’opera poteva andare in prestito in Giappone per un tempo limitato, dopo però aver effettuato le dovute ricerche e i dovuti restauri.


La tavola era ritenuta dai Doria un’opera di Leonardo, così dice infatti l’inventario del 1621. Invece nella mostra del 1939 e nel catalogo dell’asta a Napoli, si parla di un “maestro toscano”. Si pensava quindi che la tavola fosse una copia di qualche sconosciuto pittore che aveva avuto modo di vedere il cartone leonardesco o il dipinto murale del Salone dei Cinquecento. Per un periodo lo studioso Carlo Pedretti aveva addirittura ipotizzato che la tavola fosse opera di Raffaello, perché l’urbinate fu attirato dalla fama della “Battaglia di Anghiari” e corse a Firenze per poterla vedere. Inoltre voleva candidarsi come successore per il completamento dell’opera. Come sappiamo però, Raffaello non riceverà nessun incarico e tutto quello che Leonardo aveva dipinto sul muro, sarà coperto dagli affreschi del Vasari e allievi. Sulla “Battaglia di Scannagallo” di Vasari, dove si trova la famosa bandiera del “Cerca trova”, si sono fatte le più ampie congetture. Si pensa possa nascondere la “Battaglia di Anghiari” di Leonardo, ma, anche se davvero ci fosse qualcosa al di sotto, mettereste a repentaglio la conservazione dell’affresco di Vasari, non sapendo cosa ci sia davvero? Io sinceramente non lo farei.

Per conoscere tutta la storia della “Battaglia di Scannagallo” e del “cerca trova”, potete leggere l’articolo dedicato qui nel blog.

 

Per approfondire ulteriormente la vicenda della "Tavolta Doria" vi consiglio la lettura del libro di Louis Godart intitolato "La Tavola Doria. Sulle tracce di Leonardo e della Battaglia di Anghiari attraverso uno straordinario ritrovamento" edito da Mondadori (2012)


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