Vi siete mai chiesti quando è nato l’autoritratto? Siamo ormai abituati a vedere ritratti di artisti in tutti i modi possibili ed immaginabili, ma probabilmente poche volte ci siamo domandati quando è nato questo genere pittorico e che evoluzione ha avuto nel corso dei secoli.
I suoi inizi si possono rintracciare già nell’Antico Egitto, anche se nell’antichità era ancora un genere totalmente sconosciuto e non aveva le valenze che gli diamo noi oggi. Un primissimo esempio è comunque considerato l’autoritratto di Bak, capo del faraone Akhenaton, scolpito su una stele di quarzite. È vestito come un cortigiano e si trova in una nicchia insieme alla moglie.
In ambito greco un esempio è Plutarco che, nella “Vita di Pericle” racconta la cattura dell’architetto e scultore Fidia, da parte dei nemici di Pericle. Proprio Fidia aveva inserito il suo autoritratto sullo scudo della statua di Atena che si trovava nel Partenone. Secondo alcuni studi, lui dovrebbe essere la figura calva che solleva un macigno con entrambe le mani. È una delle prime volte che un’artista si autoritrae, senza darlo a vedere, in una propria opera.
Importantissimo anche il cosiddetto “Mandylion” o “Veronica”. Si tratta del velo che santa Veronica avrebbe donato a Gesù per asciugarsi il viso durante la salita al Calvario. E su di esso è rimasto impresso il volto di Cristo. Per questo motivo viene considerato un autoritratto in tutto e per tutto. È stato menzionato per la prima volta nell’antica Roma nell’XI secolo.
Nel Medioevo invece le cose cominciano a cambiare. È in questo periodo che l’autoritratto si afferma come genere. Anche se inizialmente, esisteva ancora l’idea neoplatonica secondo cui il carattere di una persona non poteva essere estrapolato dai tratti del volto, ma solamente dall’anima, che veniva considerata immortale. Sarà Plotino a porre le premesse per l’autoritratto medievale. Credeva che la natura operasse imitando la forma fondamentale, che lui chiamava “Uno”. L’artista partecipava quindi di questo principio universale. Sempre Plotino credeva anche che le opere realizzate dagli artisti fossero inferiori in bellezza rispetto a quelle che si trovavano nell’”iperuranio” mentale dello stesso. Quest’ultimo sarebbe stato talmente superiore, da non poter essere trasformato in materia grezza.
Anche nei codici miniati assistiamo alla creazione di veri e propri autoritratti. Realizzati nei monasteri e conventi, i codici erano prodotti da monaci o suore, che incorporavano nelle immagini riccamente e minuziosamente miniate, il proprio ritratto mentre erano all’opera. Sono davvero dei capolavori!
Nel Rinascimento l’autoritratto godrà di una vera e propria dignità artistica. Questo è dovuto soprattutto alla centralità che ebbe l’uomo rispetto alle altre creature plasmate da Dio. Inoltre gli artisti iniziarono ad avere un ruolo centrale anche per quanto riguarda la loro cultura intellettuale. Tanti furono i rapporti con scrittori e poeti del tempo. L’artista non era più un mero artigiano e voleva farlo vedere al mondo. Quale è quindi il modo migliore per riflettere sulla figura umana se non l’utilizzo di uno specchio? Quest’ultimo si inizia a diffondere inizialmente in area fiamminga. E grazie anche all’affermazione della tecnica ad olio, sarà ancora più semplice avere una resa coloristica e disegnativa eccellente. I primi specchi ad essere usati saranno di dimensioni molto piccole, piatti e di cristallo (erano anche molto costosi). Si passerà poi allo specchio di vetro convesso. Naturalmente non saranno solo i pittori delle Fiandre ad utilizzarlo, anche in Italia si diffonderà in modo massiccio. Non solo Tiziano, ma anche Caravaggio ne farà uso (entrambi lo introdurranno nelle proprie opere). Ma dove compare per la prima volta un artista nell’atto di dipingere un autoritratto? Nel “De mulieribus clari” di Boccaccio, una biografia di centosei donne famose dall’antichità al Medioevo. L’esempio più famoso rimane in ogni caso van Eyck con i “Coniugi Arnolfini”. Sulla parete dietro i due sposi, si trova un bellissimo specchio convesso che riflette le figure di spalle. La cornice è riccamente decorata con tondi con le storie della passione di Cristo. Non mi soffermerò sul quadro in quanto ne ho già ho discusso ampiamente in passato. Vi invito ad andare a leggere l’articolo per scoprire i tantissimi misteri che avvolgono quest’opera.
( ----> http://www.emozionearte.net/single-post/2016/11/05/I-Coniugi-Arnolfini-di-Jan-Van-Eyck )
In questo periodo storico tanti erano i tipi di autoritratti. Quello “situato” o "ambientato" era l’unico usato nel Medioevo. Da questo nascerà il “criptoritratto” dove la figura del pittore è nascosta nell’insieme dell’opera. Si approderà poi al ritratto “autonomo” dove il pittore è protagonista principale del dipinto. Tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo l’autoritratto inizia ad avere un ruolo ancora diverso. La raffigurazione dell’artista viene accostata a quella di altre persone. Cosa significa questo? Che i ritratti di personaggi importanti, come regnanti o capi politici, avranno le fattezze fisiognomiche dell’artista che lo realizza. Si parla di autoritratto “simbolico” o “allegorico”. Da qui il motto “ogni pittore dipinge se stesso”. Gli autoritratti acquisiscono così un carattere sociale e l’artista diventa un eroe culturale. Per fare alcuni esempi Mantegna, nella sua casa a Mantova nel 1476-94, realizzerà un proprio ritratto in bronzo paragonandosi ad Apelle e si farà chiamare Enea Mantegna (lo possiamo leggere nell’iscrizione sotto la statua).
Anche Giorgione si idealizza nel suo “Autoritratto come Davide”, che fa parte di una tela tagliata dove è visibile solo la testa e le spalle di Davide. Il pittore di Castelfranco si identifica con l’eroe biblico perché coraggioso, amava le donne (ebbe una relazione adulterina con Betsabea) e la musica (suonava l’arpa).
Dürer, tra tutti gli artisti cinquecenteschi, sarà quello che maggiormente darà una spinta introspettiva all’autoritratto. Ne dipinse più di cinquanta, avendo un’ossessione quasi maniacale per la propria immagine. Si ritrasse in giovane età (“Autoritratto all’età di tredici anni”) e altri due (“Autoritratto con fiore d’eringio” e “Autoritratto con guanti”) segnano due diverse fasi di vita. Nel primo c’è sicuramente un legame con la fidanzata Agnes Frey (l’eringio indicava fedeltà coniugale), nel secondo invece c’è la volontà di affermazione personale, dato che da poco aveva fatto il suo ingresso nella nobiltà norimberghese (1498).
Nel XVI secolo assistiamo invece ad un processo di idealizzazione ed eroicizzazione dell’artista ancora più forte. Michelangelo e Tiziano si raffigurano nelle loro opere vecchi, ma saggi. Per Tiziano basterà menzionare l’”Allegoria del tempo” o l’ “Allegoria della Prudenza” per comprendere di cosa si sta parlando
( ------> http://www.emozionearte.net/single-post/2018/01/16/L-Allegoria-della-Prudenza-di-Tiziano-una-lettura-panofskiana).
Anche Caravaggio si ritrarrà all’interno di alcune delle sue opere più famose. Lo vediamo nel “Martirio di San Matteo” in san Luigi dei francesi, nella “Cattura di Cristo” a Dublino e nel “Davide e Golia” della Galleria Borghese. Qui il significato è duplice. Non solo testimone di quelle che accade, ma anche indagine psicologica e introspettiva. Nel “Davide e Golia” Caravaggio lo si riconosce nella testa mozzata del gigante. Era un periodo molto buio per l’artista, scappato da Roma per l’omicidio di Ranuccio Tomassoni. Il quadro era un dono per cardinale Borghese, per cercare perdono e poter tornare in città senza essere condannato alla pena capitale. L’artista si sente un po’ come il gigante, sconfitto, ormai arrivato allo stremo. È un segno di sottomissione eclatante. Purtroppo, come sappiamo, Caravaggio morì prima di poter recapitare il quadro al destinatario.
Il termine autoritratto sarà però coniato soltanto nel XIX secolo. In questo periodo iniziano i primi “drammi” interiori dei pittori. Nascono ritratti che sono a metà tra eroicità e melanconia. Il pittore Reynolds, ad esempio, fece più di trenta autoritratti (e si contano circa 2000 ritratti, una cifra davvero assurda). Nel primo si raffigura in una posa eroica, in piedi di fronte ad una tela bianca e con la mano destra impugna pennelli e tavolozza. Il pittore adesso è di fronte ad un bivio e non è un caso che proprio il soggetto dell’ “Ercole al bivio” sia ripreso da tanti artisti. Il poeta James Barry, è il tipico esempio dell’idea romantica del genio frustato ed incompreso. Sarà un esponente dell’autoritratto conflittuale. Nel suo primo autoritratto (1767) si dipinge insieme a due amici artisti: Dominique Lefevre e James Paine il Giovane. Tutti e tre stanno ammirando il “Torso del Belvedere”, che in quel periodo si trovava in una piccola sala in Vaticano. Si credeva che rappresentasse Ercole, per questo erano in sua ammirazione e contemplazione.
Franz Xaver Messerschumidt è uno scultore tedesco, famoso e conosciuto per le “teste con smorfie”. Per lui il ritratto aveva una funzione vitale e terapeutica. I suoi busti sembrano esplorare le emozioni umane, in tutte le sue sfaccettature e oggi potremmo paragonarlo ad uno psicologo. Si dice che riuscisse ad immortalare le smorfie più disparate dandosi dei pizzichi davanti allo specchio. Si pizzicava ogni trenta secondi sul lato destro tra le costole (che lui considerava la parte virtuosa e vigorosa del corpo), riuscendo così a cogliere ogni tipo di sentimento che scaturiva dall’animo umano. Se non lo conoscete, vi consiglio di fare un giro sul web, ne rimarrete colpiti!
Avvicinandoci ancora di più ai giorni nostri, non possiamo non menzionare i tanti autoritratti di van Gogh, con la sua anima tormentata o Francisco Goya ossessionato dalla volontà di dimostrare il suo rapporto intimo con l’arte. Antonio Canova dà una propria versione di autoritratto nella sua tomba. Voleva essere sepolto nel Pantheon, vicino a Raffello, ma alla fine dovrà accontentarsi di essere sepolto a Possagno (dove era nato). Pensate che il suo cuore sarà custodito in una bellissima tomba a Venezia (che aveva disegnato per Tiziano, ma che non fu mai realizzata).
Nel Novecento il genere dell’autoritratto continua ancora ad essere usato, anche se effettivamente non si spegnerà mai (tuttora artisti contemporanei ne fanno uso). In questo periodo storico controverso, pieno di guerre e stravolgimenti sociali, la figura dell’artista è pittoricamente forte, anche dal punto di vista psicologico. Solo per fare alcuni esempi, Ernst Ludwing Kirchner, si ritrae nel 1915 nelle vesti di un soldato. Ci troviamo nel movimento dell’espressionismo tedesco dove i colori e le forme sono davvero potenti, taglienti potremmo dire. Negli anni Venti del Novecento possiamo citare Magritte. Il pittore belga farà un uso dell’autoritratto in modo particolare, unendolo alla psicologia e al subconscio.
Tanti ancora potrebbe essere gli esempi da fare e da argomentare, ma per problemi di spazio mi limito qui. Voi cosa ne pensate? Quale l’autoritratto che più vi ha colpito? E perché?