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Museo di Capodimonte: tre opere da vedere assolutamente!


Il Museo di Capodimonte a Napoli è davvero molto bello, ricco di opere e di emozioni. Il luogo nasce come residenza di caccia del re Carlo di Borbone e lo rimase per tre dinastie: i Borbone, Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat, per arrivare ai Savoia dopo l’unità d’Italia. Oltre al palazzo, ricco di grandiose opere d’arte, degno di attenzione è anche il real bosco, un gigantesco giardino che ingloba il palazzo, pieno di verde e graziose statue. Non potendo parlare di tutta la collezione del museo, davvero troppo grande, mi soffermerò su tre opere che, secondo me, bisogna assolutamente vedere se si va a visitare Capodimonte. Non parlerò della “Flagellazione di Cristo” di Caravaggio né della “Danae” di Tiziano, in quanto ho già avuto modo di discuterne ampiamente in altri due articoli (che vi invito ad andare a leggere se non lo avete fatto -à nella sezione “archivio articoli”). Prima di tutto però, uno sguardo generale alla storia della collezione. È stato Carlo di Borbone nel 1734, a racchiudere all’interno di questo palazzo sulle colline napoletane, la ricca collezione ereditata dalla madre Elisabetta, ultima discendente dei Farnese. Il nucleo artistico è stato “assemblato” da Alessandro Farnese, ossia papa Paolo III (conosciuto per la commissione a Michelangelo Buonarroti della Cappella Paolina e per la nomina ad architetto della fabbrica di San Pietro, oltre che per la continuazione del "Giudizio Universale" iniziato sotto Clemente VII). Alessandro era interessato alle antichità e a tutti i pittori contemporanei del suo tempo. Solo per citare alcuni nomi, abbiamo El Greco, Giulio Clovio, Cesare Salviati e Tiziano. Importanti sono state anche le donazioni fatte dal bibliotecario Fulvio Orsini, consigliere di Alessandro. Nel 1600 regala infatti la sua collezione di opere d’arte e antichità al cardinale Odoardo Farnese. Nel 1611 sarà Ranuccio Farnese (duca di Parma e Piacenza) ad arricchire ulteriormente la collezione. Reprimerà infatti una congiura ai suoi danni e farà condannare a morte tutti i feudatari ribelli, confiscandogli i beni: Andrea Del Sarto, Giulio Romano, oltre a Bruegel il Vecchio. I lavori per la sistemazione del palazzo partirono nel 1738. Le opere dovevano essere sistemate nelle stanze che si affacciavano sul mare. Nel 1758 risultano sistemate le prime dodici camere e le opere sono state divise per scuole pittoriche e artisti (anche se non sappiamo quali erano i dipinti esposti). Nel 1785 con Ferdinando I delle Due Sicilie verrà stilato il primo Regolamento del Museo. All’inizio dell’Ottocento la reggia perse il ruolo museale diventando una dimora abitativa. La riacquisterà poi con l’unione d’Italia. Si aggiungeranno così sculture, pitture napoleoniche e porcellane. Nel XX secolo il palazzo divenne residenza del Duca d’Aosta e tutte le opere d’arte furono trasferite a Palazzo degli Studi, oggi Museo Nazionale. Durante la seconda guerra mondiale, per paura dei bombardamenti, un gran quantitativo di quadri è stato trasferito nell’Abbazia della Santissima Trinità dei Cavi dei Tirreni e nell’Abbazia di Montecassino.

Oggi le opere d’arte sono divise in tre piani (anche se il terzo, dedicato all’arte contemporanea è temporaneamente chiuso per lavori). La domenica è possibile visitare il piano ammezzato con le opere dell’Ottocento privato (solo dalle 10 alle 12).



Al primo piano abbiamo la bellissima Galleria Farnese, con opere degne di nota: i quadri di Tiziano come la “Danae”, la “Maddalena” e il ritratto di Paolo III. Proprio in questa sezione si trova un’opera di cui vorrei parlarvi, una di quelle su cui soffermarsi assolutamente: l’ “Ercole al bivio” di Annibale Carracci. Studiata tante volte, ho dedicato a lei anche una tesina di approfondimento universitaria (in particolare parlando dell’Hypnerotomachia Poliphili e del tema della scelta di fronte a una biforcazione). Vederla dal vivo è stato qualcosa di stupendo. Un conto è vedere le opere su un libro o su internet e un conto è vederla con i propri occhi. Ci si rende conto, oltre della sua reale bellezza, anche dei suoi reali colori, che la maggior parte delle volte con le luci sbagliate e falsate delle macchine fotografiche, non rendono assolutamente. Il quadro è datato 1595-96. Faceva parte di una serie di dipinti che il pittore aveva realizzato per il cardinale Odoardo Farnese all’interno del suo “Camerino” in Palazzo Farnese a Roma. Era originariamente collocato al centro della volta del Camerino. Il tema centrale di questa serie di pitture era la celebrazione della virtù e della sua vittoria sul vizio. Che cosa narra la storia dell’Ercole al bivio? Intanto è stata narrata dal filoso greco Prodico di Ceo (V-IV secolo a.C.) e giunta a noi tramite il racconto di Senofonte nei “Memorabilia”. Ercole era un ragazzo giovane, un adolescente. Trovandosi quindi in quella fase della vita in cui le scelte iniziano a diventare importanti, decide di meditare sedendo in un luogo appartato. Deve capire se intraprendere la strada del vizio o quella della virtù. Proprio in questo momento gli apparvero due donne, personificazioni del Vizio e della Virtù, che persuaderanno il giovane eroe a seguire una via rispetto ad un’altra. Alla fine Ercole sceglierà la giusta strada della Virtù. Annibale Carracci decide di rappresentare proprio il momento in cui le due donne elencano ognuna le bellezze della propria strada. Ercole è seduto al centro del quadro, con l'attributo della clava in mano, fiancheggiato dal Vizio, personificato da una donna con abiti trasparenti e dalla Virtù, severamente abbigliata e con in mano un parazonio (una sorta di corta spada con punta acuminata). Il Vizio è accompagnata dai simboli della maschera e del tamburello, oggetti che indicano lascivia e doppia faccia. Dalla sua parte, vediamo una vegetazione idilliaca, facile da percorrere, dalla parte della Virtù invece possiamo vedere una ripida salita, certamente più faticosa ma più appagante. Al suo culmine c’è Pegaso, simbolo di virtù e mezzo di ascesa al cielo, oltre che impresa dei Farnese. Nella parte in basso a sinistra del quadro vediamo un uomo, un poeta coronato d’alloro, pronto a raccontare le gesta dell’eroe se questi farà la scelta giusta. Basilari in questo contesto sono i concetti di “vita attiva” e vita contemplativa”, la cui tradizione è antichissima. Li ritroviamo già nella Bibbia, precisamente nell’Antico Testamento e sono incarnati sempre da due donne. Lia, figlia di Labano e prima moglie di Giacobbe, veniva interpretata come simbolo della vita attiva, distinguendosi dalla sorella, Rachele che incarnava invece la vita contemplativa. Cosa dire invece dello stile del dipinto? Annibale Carracci risente certamente del suo arrivo a Roma. Le fattezze delle figure hanno un chiarissimo riferimento classico, frutto delle riflessioni e degli studi che il pittore avrà fatto sulla statuaria antica, greca e romana. Secondo Panofsky (che ha scritto un bellissimo saggio sull’Ercole al bivio nel 1930, tradotto anche in italiano), Annibale ha preso come riferimento un rilievo romano che raffigura Ercole tra le Esperidi.



Proseguendo nella Galleria Farnese consiglio di fermarsi ad ammirare il quadro di Bruegel il Vecchio “La caduta dei ciechi” (1568). Il dipinto rappresenta la scena descritta nell’omonima parabola del Nuovo Testamento. Bruegel l’aveva già raffigurata in un altro dipinto: i “Proverbi fiamminghi”. Esistono alcune copie del Seicento che ci hanno permesso di vedere particolari non più presenti nell’originale, come il vallone dove cade il primo cieco e il pastore che sta perdendo il pascolo. Bruegel dipinge sei uomini ciechi che camminano tutti vicini lungo una strada che ha un fiume da un lato e un villaggio dall’altro. Veramente belle le fisionomie dei personaggi e l’accentuata mimica facciale. Sembra davvero di trovarsi davanti a dei ciechi. Ecco le parole scritte da Matteo nel suo Vangelo a proposito di questa parabola. Cristo dice ai Farisei:

«Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!» [Matteo 15:14]

Il quadro è stato così interpretato in due modi differenti. Alcuni pensano si tratti di un’accusa al clero corrotto, altri lo vedono come un monito contro gli eretici. I ciechi vengono visti come persone che non potranno far altro che perdersi, allontanandosi dalla vera religione. Nel Cinquecento, nei Paesi Bassi, questa parabola era usata frequentemente per le contese tra cattolici e protestanti. Bruegel però sembra non schierarsi né da una parte né dall’altra. Come è arrivato il quadro nelle collezioni di Capodimonte? In origine apparteneva al nobile fiorentino Cosimo Masi, segretario di Alessandro Farnese. La tela è una di quelle confiscate da Ranuccio Farnese a seguito della congiura che era stata ordita contro di sé e la sua famiglia.

Sempre di Bruegel vi consiglio di soffermarvi anche sul piccolo dipinto “Il misantropo” (1568).



Per finire voglio consigliarvi il quadro di Polidoro da Caravaggio (vero nome Polidoro Caldara) La “Salita al Calvario” (1530-34). È ubicato al secondo piano, precisamente nella sezione della Galleria delle arti dal Duecento al Settecento. La tavola è stata commissionata per la chiesa dell’Annunziata dei Catalani a Messina. Il momento raffigurato dal pittore, riguarda uno dei periodi più intensi e sofferti di tutta la vita di Cristo: l’andata al Calvario. Molto accentuate sono le mimiche facciali dei personaggi. Il Cristo è chiaramente affranto e sconvolto dalla fatica immane che si trova a dover sostenere. Intorno a lui ci sono Maria, svenuta per il troppo dolore e la Maddalena prostata a terra per la sofferenza. In alto a sinistra vediamo un gruppo di uomini intenti a vedere la scena, alcuni addirittura aggrappati ad un albero per potersi sporgere meglio e sulla sommità destra vediamo invece delle bellissime architetture classiche. Molto bella l’immagine della “Veronica”, ossia il sudario su cui è impresso il volto di Cristo. Polidoro ha unito qui, in un’unica scena, tanti avvenimenti che di solito vengono raffigurati singolarmente (come lo svenimento della Vergine raffigurato sovente nella “Crocifissione”).

Ovviamente queste sono solo tre delle tantissime opere che questo splendido museo contiene. Io vi invito a guardarle tutte e a soffermarvi in particolare su queste da me scelte.

Il museo è aperto tutti i giorni (tranne il mercoledì) dalle 8.30 alle 19.30 (ultimo ingresso un’ora prima). Il biglietto ha un costo di 12€ intero e 8€ ridotto. All’interno è presente un bookshop e una caffetteria.


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