Sono state riaperte, dal 18 maggio, undici sale dell’ala sud di Palazzo Barberini, da sempre chiuse al pubblico. Era il 1949 quando lo Stato Italiano comprò Palazzo Barberini, appartenuto fino a quel momento al Circolo Ufficiali delle Forze Armate. Decise così di trasformarlo in sede museale: la Galleria Nazionale d’Arte Antica (poi si accorperà anche con la Galleria Corsini). Queste sale sono state restaurate solo pochissimi anni fa (si parla del biennio 2015-2017) e quest’anno aperte al pubblico. È un evento davvero memorabile perché finalmente sono state rese fruibili al pubblico e con l’occasione è stata allestita la mostra “Eco e Narciso. Ritratto e autoritratto nelle collezioni del MAXXI e delle Gallerie Nazionali Barberini Corsini”. La mostra è infatti divisa tra Palazzo Barberini e il MAXXI. Interagiscono insieme opere d’arte moderna con opere contemporanee portate proprio dal Museo d’arte contemporanea (alcune sono state create appositamente per la mostra).
Il percorso del museo è così cambiato. Solo per fare due esempi, la “Fornarina” di Raffaello non si trova più al piano terra, ma è stata spostata al primo piano, entrando a far parte del percorso della mostra temporanea. Il “Narciso” di Caravaggio (fulcro di questa esposizione) non si trova più insieme alla “Giuditta e Oloferne” sempre del Merisi, ma nella Sala Ovale del Bernini (al suo posto adesso è stata posta la tela con il “San Francesco in meditazione” di Carpineto Romano sempre del pittore lombardo).
Ma partiamo con la descrizione della mostra. Il titolo è “Eco e Narciso” e non è un caso. È infatti attinente al tema dell’autoritratto e del ritratto personale. Esistono varie versione del mito. La più famosa è quella di Ovidio, nelle “Metamorfosi”, ma esiste anche quella di Pausania e di Partenio, proveniente dai papiri di Ossirinco. Narciso nacque dall’unione di Cefiso, dio delle acque e della ninfa Liriope. Una volta che il giovane Narciso crebbe, divenne bellissimo e la madre volle mantenere inalterata la sua bellezza. L’oracolo Tiresia profetizzò che la bellezza del ragazzo non sarebbe cessata per molto tempo, ma non avrebbe più dovuto guardare il suo volto. Narciso visse anni spensierati ma fuggiva da qualsiasi fanciulla o ninfa si invaghisse di lui. Un giorno però la ninfa Eco si innamorò di lui. Non essendo ricambiata, decise di seguire i giovane ovunque andasse, guardandolo da lontano. Il dolore di non poter amarlo liberamente la fece consumare. Il suo sangue si sciolse, il viso divenne bianco e il corpo divenne trasparente tanto non proiettare più l’ombra. Della giovane fanciulla rimasero solo le ossa e la voce. Rimase in una caverna e lì rispondeva ai viandanti che la chiamavano , con voce fioca. Gli dei vollero punire Narciso per la sua superbia. Un giorno, recandosi presso uno fonte per rinfrescarsi, vide la sua immagine riflessa nell’acqua. Se ne innamorò all’istante e rimase turbato quando si accorse che, toccando la superficie dell’acqua con la mano, il volto si dissolveva per poi riapparire. Un giorno, si sporse di più per ammirarsi meglio e cadde nelle profondità dell’acqua, da cui non riemerse più. Il suo corpo divenne un fiore giallo che proprio dal suo nome, venne chiamato Narciso.
L’inizio della mostra è nel magnifico Salone di Pietro da Cortona, luogo di rappresentanza della famiglia Barberini, sia per la sua grandezza che per l’affresco barocco. Siamo sotto il papato di Urbano VIII (un Barberini) che Pietro da Cortona celebra inserendo lo stemma con le tre api, simbolo di operosità, al centro della volta. Si tratta di un ritratto di famiglia, che sottolinea l’unione di potere temporale e spirituale. La Divina Provvidenza domina la scena e fa soccombere anche le personificazioni del Fato e del Tempo. Proprio qui, è stata allestita l’installazione di Luigi Ontani, “Le Ore”. L’artista si è fatto fotografare in diverse pose, a figura intera. In molti casi ricorda opere del passato, come l’iconografia di Leda e il cigno (evoca il dipinto del Correggio, dove il cigno, che era in realtà Giove, si sta accoppiando con Leda in uno stagno). Le foto a grandezza naturale, sono state disposte a formare un ellissi, ricordando così l’era barocca. Diventa quasi una scenografia teatrale, suggerendo un tempo mitico e allegorico.
Proprio accanto, si trova la bellissima Sala Ovale, progettata da Bernini, dove possiamo ammirare il “Narciso” di Caravaggio. Non tutti i critici sono però d’accordo sulla sua autografia. I biografi del Merisi (Baglione e Mancini) infatti non la citano. La troviamo per la prima volta nel 1645, in un documento di esportazione di un certo Valtabelze, che doveva far arrivare un gruppo di opere da Roma a Savona. Tra queste è citata anche una tela raffigurante Narciso e attribuita a Caravaggio. Sembra da collocarsi alla fine del soggiorno romano, quindi intorno al 1599. Una parte della critica, come il Papi, escludono l’autografia del Caravaggio e ritengono che sia da attribuirsi allo Spadarino. In ogni caso, il dipinto immortala proprio il momento in cui Narciso si specchia nell’acqua della fonte e rimane abbagliato dalla sua stessa bellezza, innamorandosi. Al centro della stessa sala, di fronte al “Narciso” si trova l’installazione di Giulio Paolini, intitolata “Eco nel vuoto”. Un grande masso sembra essere caduto da cielo e aver rotto l’immagine di Narciso che si trova a pezzi per terra. Appesa al soffitto, è la figura di Eco, a testa in giù, che sta cadendo nel vuoto disperata. Vuole sottolineare proprio la solitudine della povera ninfa, innamorata senza essere ricambiata.
Il Salone dei Marmi o anche detto “camerone delle commedie” conteneva all’interno una grande quantità di sculture antiche. Qui, dal 1679, erano conservati dieci cartoni per gli arazzi con scene di vita di Urbano VIII e il grande cartone della “Battaglia dell’Ellesponto”, facente parte della serie dei cartoni per l’imperatore Costantino. Nela sala campeggiano i due ritratti di Giovanni Paolo II e Mao, intitolati “Pape e Mao” dell’artista cinese Yan Pei-Ming. Straordinariamente contemporanei, quasi simboli e icone pop, incorniciano il busto di Innocenzo VIII di Bernini che si trova proprio al centro.
Nella piccola ma deliziosa Cappella di Palazzo, è presente un dipinto attribuito a Guido Reni. Si tratta del ritratto di Ginevra Benci, giovane donna uccisa perché accusata di parricidio. La sua esecuzione si svolse a Roma, nel 1599. Secondo la leggenda, romanzata ulteriormente dagli scrittori ottocenteschi, Ginevra Benci sarebbe stata ritratta quando si trovava in carcere, prima di essere giustiziata. Guido Reni avrebbe avuto questo privilegio. Negli occhi della giovane si scorge un senso di rassegnazione. Gli occhi sono velati dal pianto e la bocca è leggermente socchiusa. Nonostante ci sia questa “leggenda”, è molto probabile che il quadro non sia di Guido Reni e che non rappresenti neanche Ginevra Benci. È probabilmente solo una ragazza che la tradizione ha voluto identificare romanticamente nella giovane fanciulla.
Nella Sala del Trono o anche detta la grande anticamera, si trova la video installazione dell’artista iraniana Shirin Neshat “Illusions & Mirrors”. Al centro è appeso un sontuoso lampadario in vetro e sulle pareti c’è la copia di Carlo Viva (detto anche Carluccio Napoletano) della “Battaglia di Costantino e Massenzio” dipinta da Giulio Romano e allievi nella sala di Costantino nei Musei Vaticani. Purtroppo non è ben visibile, in quanto la sala è buia per permettere la visione ottimale del video, ricco di significati. Su una spiaggia desolata vediamo una donna (interpretata da Natalie Portman) che combattere con i fantasmi della propria vita. La visione è distorta, quasi annebbiata. Segue una figura che, a prima vista, sembra essere un uomo, ma si scopre poi essere se stessa, forse il suo inconscio. Si tratta di un viaggio spirituale e onirico che fa riaffiorare i ricordi dell’infanzia e della vita passata. Veramente emozionante.
Nell’appartamento d’estate, così chiamato perché il cardinale dava udienza agli ospiti nel periodo estivo e che un tempo era decorata da damaschi e da un baldacchino d’oro, si trovano i due ritratti di Enrico VIII di Hans Holbein e di Stefano IV Colonna del Bronzino. Holbein regala un ritratto ieratico, dove la figura del sovrano sovrasta incontrastata, occupando tutta la superficie della tela. Lo sfondo è blu e questo conferisce ancora più importanza alla figura. Infatti non confonde e non distrae l’osservatore con altri soggetti o eventuali paesaggi. L’importanza della figura è sottolineata non solo dalla posa, ma anche e soprattutto dagli abiti indossati, riccamente decorati d’oro e da gemme preziose.
La mostra continua con Richard Serra. Due grandi quadri, pieni di “sostanza magmatica” bianca e nera, non riflettono nulla, ma al contrario sembrano assorbire ogni cosa. Narciso non si vede, ma viene inglobato dentro.
Nella Sala delle Udienze si trova il grande lavoro di Kiki Smith “Large Dessert” del 2005. Un grande tavolo accoglie statuine femminili che popolano tutta la tavola. Sembra voler ricordare i “riti” della nobiltà e dell’identità. Sulle pareti ai lati, notiamo dei piccoli ritratti a pastello (che diventerà la tecnica più usata per questo genere nel XVIII secolo) di Benedetto Luti e Rosalba Carriera.
Vorrei terminare con le ultime due sale del Salone d’Inverno (la camera da letto e l’anticamera), quelle dedicate alla “Fornarina” di Raffaello e alla “Maddalena” di Piero di Cosimo. Sono due ritratti di due donne antitetiche ma allo stesso tempo complementari. La Fornarina (Margherita Luti) altro non è che la donna maggiormente amata da Raffello, quella per cui avrebbe dato la vita e il senso di possessione lo vediamo dalla firma apposta sulla fettuccia che la donna ha sul braccio con la firma del pittore. Richiama, sotto questo punto di vista, il mito della giovane di Corinto che inventò la pittura ricalcando l’ombra dell’uomo amato.
Il percorso termina percorrendo la bellissima scala elicoidale del Borromini, simbolo del barocco, su cui non era possibile salire fino ad oggi. È stata costruita per l’accesso all’ala sud del Palazzo e portava alle stanze del cardinale Francesco Barberini. Rispetto a quella di Bernini (che si trova a destra uscendo dall’ingresso del museo e che si è sempre potuta percorrere durante la visita) ha una forma elicoidale e segue il principio dell’avvitamento su un asse di rotazione. Crea uno schiacciamento longitudinale e rispetto ad una semplice scala circolare, permette una salita più semplice. Il suo modello era stato studiato già dal Vignola e da Sebastiano Serlio.
La mostra “Eco e Narciso” rimarrà aperta fino al 28 ottobre 2018. Giorni e orari di apertura sono i seguenti: martedì-domenica: 8:30-19:00 (la biglietteria chiude un’ora prima), chiuso il lunedì. Biglietto: 12€, gratis la prima domenica del mese.