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La ''Canestra di frutta'' di Caravaggio: un unicum nel suo genere


La “Canestra di frutta” è l’opera forse più importante dal punto di vista del “genere” che abbiamo di Caravaggio. Quante nature morte dipinse o sono rimaste dell’artista? Solo questa. Si potrebbe contare anche il famoso “Vaso di fiori” che compare nell’inventario dei beni di Del Monte, ma di cui ad oggi, non rimangono tracce (l’unico che si conosce è di dubbia attribuzione). Il dipinto è stato esposto l’anno scorso alla mostra sulla “Natura morta e il maestro di Hartford” alla Galleria Borghese di Roma (permanentemente si trova però alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano) e in quel caso era stato messo a confronto con altre nature morte, anche straniere. Il quadro rientra così in un genere che Caravaggio non praticò mai, a parte questo magnifico caso. Per tale motivo è considerato un “unicum” nel suo genere.

Il dipinto compare per la prima volta in un elenco di opere nel codicillo al testamento del cardinale Federico Borromeo, redatto a Milano il 15 settembre 1607. Il documento era stato scritto per revocare il precedente testamento fatto a Roma nel 1599, dove Borromeo donava i quadri alla Biblioteca Ambrosiana. Inizialmente si pensava che l’opera fosse un ritaglio di un quadro più grande, andato disperso. Per quale motivo si pensava una cosa del genere? Il suddetto elenco di dipinti del cardinale venne scoperto molto tardi. Fu redatto da Pamela Jones solo nel 1988 e in maniera estesa nel 1993. Questo ha portato la critica (che scoprì i dettagli molto tardi), tra cui anche Longhi, a pensare in modo errato, che l’opera fosse solo un particolare di una tela più grande. In realtà proprio nel codicillo viene descritta dettagliatamente l’opera, quindi si è poi esclusa un’ipotesi del genere. La “Canestra di frutta” è un quadro a se stante e non faceva assolutamente parte di un’opera più estesa. Queste le parole del documento:

«Un quadro di lunghezza di un braccio, et di tre quarti incirca di larghezza, dove in campo bianco è dipinto un Canestro di frutti parte ne rami con lor foglie, et parte spiccati da essi fra quali vi sono due grappoli di uva, uno di bianca, et l’altro di nera, fichi, mele, et altri di mano di Michele Agnolo da Caravaggio»

Ci si domanda ora a quali modelli si sia ispirato Caravaggio per realizzare l’opera. Tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento infatti non esistevano tanti esempi di natura morta a Roma. In questo caso si potrebbe pensare ad un suo contatto con Arcimboldo, quando si trovava ancora a Milano (su questo argomento rimando all’articolo dedicato…). Quest’ultimo era famosissimo per le sue teste composte fatte di fiori e frutta e soprattutto per i suoi studi dettagliati di piante e animali portati avanti sui testi scientifici di Ulisse Aldovrandi. Esiste però un quadro, il “Piatto argentato con pesche e foglie di vite” di Ambrogio Figino che viene considerato un antecedente della canestra caravaggesca. È datato infatti 1591-94. Anche Figino lavorava a Milano ed è stato un altro artista che Caravaggio conobbe e di cui aveva visto i dipinti. Nelle stesso ambito lavorava anche la pittrice Fede Galizia, anche lei di Milano e anche lei conosciuta per le sue nature morte. Insomma, il panorama artistico in cui aveva gravitato Caravaggio era stato certamente fiorente per quanto riguarda lo studio delle nature morte, fiori e frutta. Gli esempi che aveva intorno a sé era tanti.



Dati certi dell’opera sono purtroppo pochi e queste lacune permettono poco spazio all’analisi della genesi del quadro. Nel 1607 il dipinto era già a Milano con il suo proprietario Borromeo. Ma è stato lui a commissionare l’opera? Si è sempre pensato che il primo proprietario fosse proprio Federico Borromeo, questo a causa di un errata lettura di uno scambio epistolare tra Borromeo e Francesco Maria Del Monte. Qui si parlava di un quadro inviato come dono da quest’ultimo al cardinale Borromeo. Si pensava fosse proprio la “Canestra di frutta” di Caravaggio. In realtà si scoprì che non era così, in quanto il quadro donato era una «Testa di Madonna con velo trasparente» tra l’altro di Scipione Pulzone. Sappiamo però che Federico Borromeo conosceva personalmente Caravaggio. Lo aveva incontrato durante il soggiorno romano. Importante è una testimonianza del segretario di Federico, Giovan Maria Vircelloni. Quest’ultimo racconta che Borromeo avrebbe chiesto al Merisi di realizzargli un quadro raffigurante la Vergine con il manto stellato. Caravaggio però ci impiegò davvero tanti anni e alla fine, dopo varie insistenze da parte di Federico, gli avrebbe risposto «Se volete vedere la Vergine stellata, andate in Paradiso. Il cardinale si tacque […] e si servì di altro pittore». L’episodio mette in evidenza la volontà del cardinale milanese di scegliere personalmente i pittori che realizzassero i quadri per lui, anche se in questo caso, l’esito non fu positivo.


[Ambrogio Figino, "Piatto metallico con pesche e foglie d'uva", collezione privata]

Tornando alla “Canestra di frutta” è importante sottolineare un fatto, non di poco conto. Borromeo sbaglia a descriverla in un passo del suo “Musaeum”, un’opera scritta in latino e pubblicata nel 1625, di cui esistevano pochissime copie ed è per questo motivo forse, che la sua popolarità fu scarsa e ristretta sola agli anni della sua attività. In questo testo racconta e descrive la sua collezione di opere, anche se, al momento della stesura, queste ultime non sono già più sue, perché donate alla Pinacoteca Ambrosiana. Proprio in questo testo viene descritta la “Canestra di frutta” di Caravaggio, ma sembrano esserci degli errori. Parla di «flores micant» quando di fiori non vi è traccia, ma solo presenza di frutta. Tanti critici hanno pensato che si potesse trattare di una svista del cardinale, forse poco attento al dipinto caravaggesco. In realtà sembra si tratti proprio di un errore di penna (“lapsum calami”). Sono stati infatti scoperti degli appunti preparatori al “Musaeum”, dove è presente questo appunto: «Prima excusatio: Il quadro di frutti del Caravaggio ha quell’eccellenza che al paragone mi ha sempre ritratto dalla compra». Quindi Federico Borromeo sapeva molto bene che si trattava di un cesto di frutta e non di fiori e di conseguenza il passo del “Musaeum” deve essere visto come “excusatio” per non aver comprato un “pendant” bello come quello caravaggesco. Questo giudizio è molto positivo e fa capire quanto il cardinale stimasse Caravaggio e amasse la sua pittura, tenendo conto poi che, nella sua collezione, aveva a disposizione tanti altri dipinti raffiguranti nature morte. Nessun’altro però era paragonato alla sua bellezza. È a questo punto molto plausibile che Federico Borromeo sia stato anche il committente dell’opera e non solo l’acquirente.

Sappiamo anche dove veniva tenuto il quadro nella Pinacoteca Ambrosiana: poggiato su un tavolo, contro una parete a fingere un “trompe l’oeil”. Infatti la “Canestra di frutta” finge uno spazio tridimensionale. Lo capiamo dal cesto, che esce leggermente dal piano d’appoggio su cui è dipinto. La frutta è di una bellezza stravolgente, sembra vera. Basta soffermarsi sul dettaglio dell’ammaccatura della mela, talmente reale da lasciare senza fiato. Davvero molto interessante è il risultato della radiografia effettuata sul quadro. È emerso un genietto alato, raffigurato in una delle tavole della Galleria Giustiniana, corrispondente a un bassorilievo antico. Caravaggio ha quindi fatto uso di una tela già dipinta. È molto probabile si tratti di Prospero Orsi, conosciuto come Prosperino delle Grottesche, che Caravaggio conosceva. I due erano in rapporto durante il periodo romano, quindi è quasi certo che si scambiassero tele usate, vista la condizione di indigenza economica sofferta soprattutto dal Merisi. Non è inoltre la prima volta che Caravaggio fa uso di tele di riciclo. Anche per la “Buona Ventura” capitolina usò una tela che era stata già dipinta in precedenza, dove è presente una Madonna con Bambino, che alcuni critici vedono di mano del D’Arpino.

Ma a questo punto in che anni è stato dipinto il quadro? Tenendo conto che Borromeo arrivò la prima volta a Roma alla fine del settembre 1586, ospitato dal cardinale Marco Sittico Altemps e il suo ultimo nel dicembre 1601, l’opera dovrebbe essere compresa nel lasso di tempo che va dal 1597 (un anno dopo l’arrivo di Caravaggio a Roma) e il 1601.


 

Per un'analisi più approfondita sulla "Canestra di frutta" e non solo, vi consiglio la lettura del testo "Il giovane Caravaggio sine ira et studio" a cura di Alessandro Zuccari, uscito da pochissimo. Il testo racchiude gli interventi del convegno tenuto a Roma lo scorso anno sulle nuove ipotesi cronologiche dell'arrivo del Merisi a Roma.


 

 

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