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Emozione Arte

Antonello da Messina e l'arte fiamminga


Antonella da Messina è stato uno dei pittori italiani più importanti della seconda metà del Quattrocento per quanto riguarda l’influsso artistico dell’arte fiamminga. In questo articolo analizzeremo le modalità in cui è avvenuto questo connubio.

La prima biografia conosciuta di Antonello è certamente quella scritta da Giorgio Vasari nelle sue “Vite”, la seconda edizione edita nel 1568. Vasari afferma che Antonello è stato allievo di Jan van Eyck, che ascrive addirittura come l’inventore della pittura ad olio. In realtà non è stato proprio così. La pittura ad olio non è stata un’invenzione dei fiamminghi. Già Cennino Cennini nel suo “Libro dell’arte” parla di una particolare vernice liquida creata con l’unione di olii, gomme e resine. Questo fa comprendere come van Eyck sia stato più un perfezionatore della tecnica, ma assolutamente no l’inventore. È poi indubbio di come i fiamminghi riuscirono ad elevare la pittura ad olio a tecnica principale da usare nelle loro opere. La loro arte è famosa per la nitidezza e brillantezza dei colori e per l’importanza data ai particolari, anche piccoli e minuti. Solo la pittura ad olio gli permise di realizzare tutto ciò.

Ma torniamo ora ad Antonello da Messina. Non sembra sia documentato un suo soggiorno nel Nord Europa che possa giustificare una conoscenza in prima persona della pittura fiamminga. In che modo quindi Antonello ha conosciuto e fatto propria la tecnica nord europea? Da una lettera scritta da Summonte (un umanista del tempo) nel 1524, veniamo a sapere che Antonello fu discepolo di Colantonio a Napoli a partire dal 1450 (non prima però di aver svolto un apprendistato di circa tre anni con Guglielmo Adragna d'Alcamo in Sicilia). Quest’ultimo aveva una tecnica tutta sua, vicinissima a quella fiamminga: lucentezza dei colori e precisione nei dettagli. Sembra che avesse anche programmato un viaggio in Olanda che alla fine però non intraprese mai. Perché? Perché il re di Napoli, Renato d’Angiò, si oppose a mandarlo in terra straniera, forse per non privarsi di uno dei pittori di corte più talentuosi del momento. Alcune storie, che alcuni credono leggende, raccontano che sia stato proprio il re ad istruire Colantonio sulla tecnica fiamminga, che avrebbe imparato durante un periodo di prigionia in Borgogna. In realtà sembra che il re non avesse voluto mandare Colantonio nelle Fiandre perché lo riteneva un viaggio pieno di pericoli e anche per l’instabile situazione politica. Quindi avrebbe avuto come maestro Barthélemy d’Eyck che, proveniente dal Nord Europa, lavorava nella corte del re Renato d’Angiò (anche se non pare ancora attestata una sua permanenza certa a Napoli). Antonello era di circa dieci anni più giovane e quindi sarà stato influenzato solo indirettamente da questa fase artistica napoletana. Nulla vieta però di pensare che possa aver visto qualche tempo dopo opere di Barthélemy d’Eyck.




Dopo Renato d’Angiò, salì sul trono napoletano Alfonso V d’Aragona e a corte arrivò un ampio influsso d’arte fiamminga con l’acquisizione di tavole nordiche. Tra tutte spicca il trittico di Van Eyck per il genovese Lomellini che arrivò a corte nel 1444. Non arrivarono però fisicamente artisti del Nord Europa. Sono documentati invece artisti provenienti da Valenza che erano venuti a contatto con l’arte nordica mentre si trovavano nella loro terra. Antonella da Messina ebbe modo di apprendere l’arte valenza che aveva a sua volta influenze di arte fiamminga.

A questo punto è d’obbligo un confronto tra le prime opere di Antonello e quelle del maestro Colantonio per capire meglio analogie e differenze. Partiamo con l’”Ecce Homo” e il “San Girolamo penitente”, due piccoli dipinti facenti parte di un’unica tavoletta fronte-retro. Si tratta di una delle prime opere di Antonello. La parte con il “San Girolamo penitente” è davvero molto interessante perché vediamo la presenza di un paesaggio fiammingo molto simile a quelli dipinti dal Colantonio. Il paesaggio sembra avere una vita propria e, nonostante ci sia la figura di San Girolamo (anche se molto danneggiata), quest’ultima appare messa all’angolino, quasi inutile ai fini della scena. Inoltre la fascia blu del cielo in alto, rimanda ad alcuni dipinti di Van Eyck. Confrontato con la “Predica di San Vincenzo Ferrer” e “San Vincenzo Ferrer salva una nave dal naufragio” due tavole facenti parte del polittico di San Vincenzo Ferrer di Colantonio, è nettamente evidente la ripresa di Antonello del paesaggio del maestro e quindi dell’assimilazione dell’arte valenzana-fiamminga. Il dettaglio interessante è notare come Antonello cerchi di imitare i fiamminghi e non di copiarli semplicemente.


Antonello però non si lasciò ispirare dalla pittura fiamminga solo guardando il maestro Colantonio a Napoli. Anche quando si trovava ancora in Sicilia sembra essere stato in contatto con opere di Petrus Christus, che ebbe molti incarichi da parte di commercianti spagnoli e italiani dopo la morte di Van Eyck. Si pensava, erroneamente, che Antonello e Petrus Christus si fossero incontrati e conosciuti a Milano, alla corte degli Sforza. Questo perché nel 1456 sono presenti in città un certo Antonio Siciliano e Piero da Bruges. In realtà si è poi accertato non si trattasse dei nostri due pittori. La cosa certa è che molte pale di Christus arrivarono sia in Sicilia che a Napoli, tra cui una “Deposizione” e una “Morte della Vergine”. Quindi Antonello avrà sicuramente avuto modo di vedere e studiare la sua arte.

Ma è nei ritratti che Antonello dà il meglio di sé. Figure prese di tre quarti, sguardo fisso verso l’osservatore, espressioni enigmatiche. Il taglio di tre quarti era quasi sconosciuto in Italia e Antonello lo riprese dall’arte fiamminga, in particolare quella di Petrus Christus, soprattutto nella volumetria dei volti, più che per la mimica espressiva, totalmente sconosciuta nel Nord Europa. Come detto già prima però, Antonello non copia, imita, dando una propria impronta e un proprio stile. Infatti toglie completamente le mani dall’inquadratura e inserisce i personaggi su un fondo tinta unita e non in una scatola spaziale (come invece erano soliti i fiamminghi).

Un’altra spinta verso l’arte fiamminga è stato dato dal suo viaggio a Venezia, documentato nel 1475. Qui ha potuto scoprire opere di pittori quali Van Eyck, Memling e Bouts e per la prima volta nella città lagunare ha fatto uso della tecnica ad olio con la pala di San Cassiano.


I ritratti sono davvero sublimi. È stato uno dei pochi pittori e ritrattisti italiani di quel periodo ad aver dato importanza ai dettagli del volto: rughe d’espressioni, grana della pelle, pieghe degli occhi… una veridicità pazzesca che può solo essere paragonata ai fiamminghi. In più il nostro Antonello, ha introdotto l’introspezione psicologica, se così la vogliamo chiamare. I suoi personaggi sorridono enigmaticamente, soffrono pubblicamente, facendoci sognare ad ogni occhiata.

In conclusione dobbiamo spendere altre due parole sul legame ipotetico, anche se poco probabile, con Antonello e Jan Van Eyck e il loro possibile connubio artistico. Abbiamo detto che è stato Vasari a dire nelle sue “Vite” che Antonello aveva svolto un viaggio nel Nord Europa, in cui avrebbe avuto come maestro proprio Van Eyck. Se in un primo tempo l’affermazione era ritenuta vera perché è innegabile un’influenza fiamminga nelle opere del pittore siciliano, in un secondo momento si è arrivati a dire che il rapporto tra i due era impossibile perché non sono stati ritrovati documenti che attestino un soggiorno di Antonello nelle Fiandre. In realtà però il fatto che il documento non sia stato ritrovato, non implica che non esista. I documenti su Antonello sono davvero molto pochi. Chissà se un giorno verrà trovato qualcosa che possa cambiare la storia artistica di questo pittore. Se così fosse, cambierebbe tutta la sua biografia e dovremmo affermare che Vasari aveva ragione.

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