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Emozione Arte

Pittrici donne: Fede Galizia e Louise Moillon


Si parla sempre troppo poco di artiste donne, dimenticando (o non conoscendo proprio) la loro importanza sia storica che artistica. Artemisia Gentileschi, Lavinia Fontana e Sofonisba Anguissola, sono solo alcune delle tantissime artiste che la storia dell’arte ci ha lasciato. Oggi cercheremo di scoprirne altre, poco conosciute, soffermandoci anche sul ruolo della donna nel tardo Medioevo e primo Rinascimento.

Inutile dire che la figura femminile è sempre stata vista come creatrice e allevatrice dei figli. Le donne si occupavano della casa, dei figli, della loro educazione (se erano benestanti), ma anche degli animali (qualora il marito possedesse una fattoria o un podere). Si occupavano quindi del bestiame, di dare loro da mangiare, di fare formaggi, birre, prosciutti e carne. Insomma… il ruolo della donna era molto variegato e se vogliamo, molto più duro di quello di un uomo, dato che la gestione di tutte questi incarichi non era cosa da poco, sia a livello fisico che mentale. Nel Quattrocento le donne che non potevano sposarsi né farsi monache, perché non possedevano la dote, cercavano lavoro come meglio potevano. Le corporazioni delle Arti e dei Mestieri però non permetteva loro di lavorare, così dovevano rimboccarsi le maniche per trovare altro. C’era si occupava della cardatura della lana, chi apprendeva il mestiere dell’orafo, addirittura chi ricoprì il ruolo di macellaio e fabbro.

Prima del Trecento, in particolare nelle aree nord europee, sono documentati alcuni lavori praticati dalle donne, il più importante era il ricamo delle stoffe per i paramenti sacerdotali, come gli arazzi. La donna doveva saper filare e questa mansione le si addiceva. Anche se sembra che sia stato un ruolo ricoperto più che altro da donne altolocate e ricche. Purtroppo non rimangono i nomi di queste artiste, perché gran parte dei lavori di ricamatura sono andati perduti. Sempre nel Medioevo esistevano donne miniaturiste di cui rimangono alcuni nomi: Giovanna Garzoni e Maria Sibylla Merian, per citarne due. Addirittura sembra che la prima pittrice donna ad aver firmato un manoscritto risalga al 970. Si tratta del manoscritto dell’Apocalisse, conservato nel duomo di Gerona.

È però nel Quattrocento, in pieno Rinascimento, che le pittrici donne raggiunsero il culmine del successo. È in questo secolo che si concentrano le più famose e le più dotate. Molte di loro erano anche monache e intraprendevano la carriera pittorica all’interno del convento. L’estraneità dal mondo esterno però non permetteva loro di apprendere al meglio il mestiere. Per questo non si conosce nessun nome di pittrici monache. Non dimentichiamo inoltre che la maggior parte delle donne (soprattutto se di umili origini), era analfabeta. Solo le aristocratiche (o chi doveva intraprendere la vita monacale) poteva avere il privilegio di studiare.

Arrivati a questo punto possiamo delineare le due pittrici di cui parleremo oggi: Fede Galizia e Louise Moillon.

Fede Galizia è sicuramente più conosciuta di Louise Moillon. È una pittrice ricordata soprattutto per le sue bellissime nature morte e per essere vissuta nello stesso periodo di Caravaggio (molto probabilmente si conoscevano). È stata certamente allieva del padre, che era un miniaturista ed è da lui che apprese la tecnica minuziosa e particolareggiata tipica di quel mestiere. La data di nascita si può estrapolare da una scritta che si trova sul ritratto di Paolo Morigia (studioso gesuita) che fu uno dei primi committenti di Fede Galizia. Proprio nella parte alta del dipinto, vediamo una lunga scritta dove si afferma che nel 1596 Fede aveva diciotto anni. Era nata quindi nel 1578. Ne suo tempo era conosciuta come ritrattista. Famosi sono i due quadri con “Giuditta con l’ancella”, uno conservato in Florida e l’altro a Roma. Già qui è evidente l’influenza dell’arte minuziosa della miniatura, soprattutto nella ricca veste di Giuditta, finemente decorata, con una precisione da manuale fiammingo. Ma sue sono anche alcune nature morte, nulla di troppo arzigogolato, ma allo stesso tempo essenziali. Alla fine del Cinquecento era molto usato il genere delle nature morte soprattutto nell’Italia del Nord (in particolare in città come Bergamo, Cremona e Brescia) e Fede Galizia era di Milano e di origini trentine (il padre era di Trento). È alquanto probabile che il padre abbia formato la figlia sulle basi artistiche di un’altra pittrice, Sofonisba Anguissola, che era di Cremona, a circa cento chilometri di distanza da Milano. Di straordinaria bellezza è il ritratto del Morigia. Datato intorno al 1596, il quadro si trova a Milano, alla Pinacoteca di Brera. Lo studioso è ritratto a mezzo busto, con una mano scrive e con l’altra tiene degli occhiali. Guada direttamente gli spettatori, quasi con occhi compiacenti. Sembra che stia in posa per farsi ritrarre al meglio. Il ritratto è molto vicino a quello di “Fedra Inghirami” di Raffaello (1512-14). La posa è simile: lo studioso ha il busto girato verso destra, con una mano scrive e lo sguardo, in questo caso, è rivolto in alto. Non abbiamo prove documentarie che Fede Galizia abbia visto il quadro, ma non è da escludere un suo viaggio a Firenze. Qui potrebbe aver visto il ritratto (si trovava nella collezione Medici) ed essersi ispirata per dipingere quello a Paolo Morigia.


[Fede Galizia, "Giuditta con la testa di Oloferne", 1596]



[particolare del quadro "Giuditta con la testa di Oloferne"]

Per quanto riguarda le nature morte invece, ne conosciamo una certa, del 1602. Raffigura una pera intera, una rosa sbocciata e al centro un cesto con delle albicocche. Prendendo come prototipo questo dipinto, lo studioso Stefano Bottari, è riuscito ad individuare altre nature morte che, secondo lui, potrebbero attribuite a Fede Galizia. Tra queste figura il “Cesto di pesche”, conservato a New York, a Newhouse Galleries.


Louise Moillon è una pittrice francese, figlia di Nicolas Moillon e Marie Gilbert. L’educazione iniziale venne data dal padre, poi, dopo la sua morte, dal patrigno François Garnier, che era pittore. Di lui però si conoscono solo due quadri, per di più successivi ai lavori di Louise, quindi è impossibile capire quanta influenza ebbe sulla donna. Come Fede Galizia, anche lei si specializzò nella natura morta. Sappiamo infatti che dopo la morte della madre, avvenuta nel 1630, nell’inventario dei beni comparivano ben tredici nature morte. Sappiamo con certezza che tutte le sue opere sono state dipinte entro il 1642, nonostante lei continuò a vivere per altri cinquantaquattro anni. Forse solo nel 1670 circa riprese a dipingere. Perché questa lunga pausa? Certamente per il matrimonio con il calvinista Etienne Girardot (da cui ebbe almeno tre figli). Come detto all’inizio di questo articolo, compito della donna era quello di curare la famiglia e gestire la vita domestica. Non potendo esimersi da questi “doveri” è certo che abbia dovuto abbandonare per un lungo lasso di tempo la pratica pittorica, per riprenderla poi solo molti anni dopo, quando ormai i figli erano grandi.

Tra le pittrici francesi era sicuramente la più talentuosa per quanto riguarda le nature morte. Era specializzata nella realizzazione di frutta e verdura. Sono circa una ventina i suoi quadri rimasti, un numero davvero alto per l’epoca, se si conta che in Francia il genere della natura morta non era per niente riconosciuto e pochi erano gli artisti che lo trattavano.

Interessante il dipinto “Dal fruttivendolo” (1630), conservato al Louvre di Parigi. Qui, oltre alla natura morta, sono presenti anche due donne: la fruttivendola e la cliente che sta scegliendo la frutta migliore. Si comprende così come Moillon fosse in grado di dipingere, in modo eloquente, anche la figura umana. Nell’anno in cui venne dipinta l’opera, l’artista era già molto affermata come pittrice di nature morte e l’inserimento della figura umana voleva sicuramente sottolineare la sua volontà di allargare gli orizzonti, di cimentarsi in qualcosa di nuovo per mostrare la sua bravura anche in altri generi.


[Louise Moillon, "Dal fruttivendolo"]

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