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Emozione Arte

Jan Vermeer: pittore di storia


Abbiamo già avuto modo di parlare di Jan Vermeer in un articolo di qualche settimana fa, concentrandoci sul quadro più famoso: la “Ragazza con l’orecchino di perla” (o anche detta “Ragazza con il turbante”). Oggi prenderemo in esame la fase iniziale del pittore olandese, molto diversa iconograficamente da quella che siamo abituati a vedere sui libri di scuola. Vermeer infatti non fu solo un pittore di vedute e di interni, colui che si soffermava sulla rappresentazione dell’intimità della vita quotidiana di uomini e donne. Vermeer fu anche un pittore di storia. Tra il 1653 e il 1656 il pittore realizzò opere con soggetti mitologici e religiosi, molto distanti dai quadri che lo hanno reso famoso. In Olanda, in particolare a Delft (città natale di Vermeer) i soggetti storici andavano molto di moda ed era attivo un ampio mercato. Sicuramente Vermeer si era adeguato alle richieste della committenza locale e iniziò la sua carriera pittorica con questi soggetti iconografici. Alcuni hanno ipotizzato che questo tipo di soggetti sia stato scelto per sua la conversione al cattolicesimo dopo essersi sposato, ma nulla è certo. Le fonti prese come modello da Vermeer sono olandesi ma anche italiane. Sappiamo che l’artista non viaggiò mai in Italia, ma apprese lo stile da altri pittori che gravitavano nella sua città: Felice Ficherelli, il caravaggista di Utrecht Hendrick ter Brugghen e anche Rembrandt. Conobbe questi artisti sicuramente tramite l’attività di mercante d’arte del padre e anche grazie alla collezione di dipinti della scuola di Utrecht posseduti la suocera.

“Diana e le ninfe” è una delle prime opere dipinta da Vermeer (1653-54), anche se inizialmente non tutti i critici erano d’accordo sulla paternità. Lo stile sembrava talmente diverso dai dipinti successivi che si era affermato non potesse essere un Vermeer. In ogni caso è evidente uno scarso studio delle figure umane. Vermeer non faceva uso di modelli dal vero (anche i suoi ritratti, detti “tronie” non sono stati dipinti prendendo dei modelli, ma sono frutto della sua invenzione) e questo risulta chiaro guardando il “peso” che le figure hanno nello spazio. La ninfa seduta di spalle allo spettatore sembra essere inconsistente, senza peso proprio e siede su una roccia che in realtà somiglia più ad una pila di panni accatastati. Vermeer era infatti interessato maggiormente alla luce (come tutti i pittori olandesi) e al modo in cui quest’ultima costruiva le forme. È interessato al modo in cui le superfici reagiscono alla luce e non alla costruzione volumetrica dello spazio, come era stato importante per la pittura italiana rinascimentale. Degni di nota sono però i panneggi delle vesti, sintomo questo che Vermeer aveva avuto modo di vedere dei modelli classici. Una citazione espressamente classica è la ninfa seduta a sinistra, con la gamba accavallata, mentre si toglie qualcosa da sotto la pianta del piede: ricorda evidentemente lo “Spinario” capitolino.


[Jan Vermeer, "Diana e le ninfe", 1653-54, L'Aia, Koninklijk Kabinet van Schilderijen Mauritshuis]


Il quadro “Cristo in casa di Marta e Maria” (1654-55) è di tema religioso e Vermeer lo realizzò all’inizio della sua carriera. Le figure prendono quasi tutto lo spazio della tela e si intravede davvero poco delle sfondo: una finestra e alcuni ambienti della casa. Anche in questo caso è evidente lo scarso studio della figura umana; non c’è nessuno studio dal vero e lo percepiamo dalla mano destra di Cristo, spudoratamente sproporzionata rispetto al corpo. Confrontandolo con le figure di “Diana e le ninfe”, queste hanno un maggior peso, ma non sono di certo costruite tenendo conto di una volumetria. È sempre la luce a costruire lo spazio e le figure. La disposizione dei tre personaggi è triangolare e sembra evocare pale d’altare italiane. La maestosità della tela ricorda opere di van Dyck.


[Jan Vermeer, "Cristo in casa di Marta e Maria", 1654-55, Edimburgo, National Gallery of Scotland]

La “Santa Prassede”è invece considerato il primissimo dipinto di Vermeer. Prassede era la protettrice dei martiri, donna romana vissuta nel II secolo. Curava coloro che venivano uccisi perché professavano il cristianesimo. La santa è protagonista indiscussa del quadro, prendendo tutta la grandezza della tela. È inginocchiata, tiene in mano una croce e con le mani strizza una spugna da cui esce del sangue, molto probabilmente del martire sdraiato a terra dietro di lei. A destra della tela, sotto un’arcata di un edificio, si scorge la figura di una donna, forse la sorella di Prassede, Pudenziana. Il quadro richiama naturalmente temi cattolici e fa capire come Vermeer si fosse già convertito. L’iconografia è ripresa, in maniera quasi identica, da un’opera dell’italiano Felice Ficherelli, anche se non si sa come Vermeer ne sia venuto a conoscenza. È probabile però che una copia della “Santa Prassede” del Ficherelli fosse presente in Olanda, dato che era molto in voga il mercato dell’arte italiana.


[Jan Vermeer, "Santa Prassede", The Barbara Piasecka Johnson Collection Foundation]


[Felice Ficherelli, detto il Riposo, "Sanra Prassede", 1640-50, collezione privata]

Vermeer continuò a dedicarsi all’amore per i concetti astratti e allegorici, anche quando i dipinti sembravano apparentemente dedicati all’amore tra un uomo o una donna. Due esempi sono l’ “Allegoria della Fede” e l’ “Allegoria della Pittura”, due tele dipinte nella fase finale della sua carriera artistica. Nell’ “Allegoria della Fede” una donna, elegantemente abbigliata, è seduta su uno sgabello non visibile e poggia il piede su una sfera decorata. Poggia il braccio sinistro su un tavolo dove è aperto un libro (identificato con la Bibbia) ed è presente un calice. Un crocifisso si staglia su uno sfondo arabescato rosso e oro. La figura della donna è basata sulle immagini della Fede Cattolica e della Fede Cristiana dell’ Iconologia del Ripa che Vermeer aveva conosciuto tramite i dipinti di Dirck Pietersz Pers. La donna indossa infatti un vestito bianco e blu, simboli per il Ripa di purezza. Il Paradiso è rappresentato dalla sfera trasparente che pende dal soffitto (che è stata paragonata all'uovo di struzzo che pende dall'abside della famosa "Pala di Brera" di Piero della Francesca). La mela a terra mangiata è simbolo del peccato originale. Simbolico il serpente ucciso dalla pietra angolare (personificazione del Cristo) che indica la fine del male (ricordiamo anche la magnifica interpretazione data da Caravaggio con la "Pala dei palafrenieri"). Bellissimo l’arazzo in primo piano di stampo fiammingo di fine Cinquecento. La precisione dei dettagli e la vivacità dei colori è senza precedenti. Sembra voler indicare uno svelamento, la rivelazione della fede cattolica. E non è un caso, dato che la religione cattolica in Olanda si professava, ma in clandestinità. Esistevano le cosiddette “chiese nascoste” (schuilkerk), che altro non erano che piccole cappelle costruite dentro case private, che diventavano luoghi di culto per le comunità cattoliche presenti in Olanda. Vermeer le conosceva molto bene perché si convertì al cattolicesimo una volta sposato. Quindi è molto probabile che, per realizzare questo quadro, Vermeer abbia preso spunto da un interno a lui conosciuto, adibito a cappella privata.


[Jan Vermeer, "Allegoria della Fede", 1670-72, New York, The MEtropolitan Museum of Art, The Friedsam Collection, lascito Michael Friedsam]

Successivamente Vermeer cambiò soggetti iconografici, concentrandosi su scene di interni, dove figure femminili e maschili sono colte in dialogo tra loro, oppure immortalate in solitudine, perse nei loro pensieri. Ci si è sempre domandati il motivo che ha portato Vermeer a mutare soggetti. Ancora oggi non si hanno risposte univoche e forse non si avranno mai. Forse iniziò con soggetti storici e allegorici perché pensava di attirare più committenti (sottolineiamo che non conosciamo dei precisi committenti del pittore olandese, forse non li ebbe nemmeno per tutti i quadri e a volte lavorava di fantasia senza regole impostagli), oppure, come detto in precedenza, in relazione alla sua conversione al cattolicesimo. In ogni caso, una volta iscritto alla Gilda come maestro, cambiò soggetti iconografici. Molto probabilmente un cambio di committenza che prediligeva quadri differenti. Anzi è molto probabile che i primi quadri di soggetto religioso siano stati commissionati da qualche famiglia cattolica, forse amici della famiglia del pittore. Infatti le tele erano molto grandi e sembra strano che fossero aperte al libero mercato. Erano certamente realizzate per essere poste dentro cappelle private e per la devozione delle chiese cattoliche clandestine.

 

Per approfondimenti, consiglio i seguenti libri:

-"Vermeer. Il secolo d'oro dell'arte olandese", a cura di Sandrina Bandera, Walter Liedtke e Arthur K.Wheelock, Jr, Skira, 2013

-"Vermeer. La ragazza alla spinetta e i pittori di Delft", a cura di Bert W.Meijer, Giunti, 2007

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