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''Giuditta che decapita Oloferne'': da Caravaggio a Louis Finson. Originali o copie?


Il quadro "Giuditta che decapita Oloferne" di Caravaggio è una bellissima tavola conservata a Palazzo Barberini di Roma. Il Merisi la realizzò alla fine del Cinquecento, intorno al 1598-99 (anche se sulla data ci sono dei dibattiti nati in seguito alla scoperta dell'arrivo a Roma di Caravaggio nel 1596 e non, come si è sempre creduto, nel 1592, con un conseguente slittamento delle date dei quadri realizzati nella capitale). Il committente fu il banchiere Ottavio Costa; troviamo infatti il dipinto nell'inventario dei suoi beni del 1639, inoltre è citato anche nel testamento redatto nel 1632. Il Costa aveva un debole per l'opera del Merisi e si dice la tenesse coperta da un telo rosso per proteggerla ed evitare sguardi indiscreti. La bellezza del quadro è in effetti innegabile. Giuditta è stata dipinta prendendo come modello la cortigiana Fillide Melandroni. Il volto è giovane, roseo, l'espressione è corrucciata per il turpe gesto compiuto (ricordiamo che Giuditta uccise il generale assiro Oloferne per salvare il suo popolo assediato in Betania). La vecchia dietro di lei è qualcosa di straordinario! Ricorda le caricature leonardesche (che forse Caravaggio prese come modello), il volto è decadente, pieno di rughe, tipico di una vecchiaia ormai in stato avanzato. Oloferne invece è dipinto nel momento prima di morire. Giuditta lo sta decapitando mentre è sdraiato su un letto, dopo aver cenato e bevuto vino. Il tendaggio rosso dietro di loro (riecheggia la tenda dove si trovava Oloferne), fa da quinta scenica e sarà ripreso da tutti quegli artisti che, dopo Caravaggio, ricrearono il soggetto nei loro quadri. Impressionante è il copioso fiotto di sangue che esce dal collo di Oloferne. Sembra che Caravaggio abbia studiato dal vivo il modo in cui il sangue usciva da un taglio del genere. È talmente realistico e impressionante che nessuno dopo di lui, riuscì ad imitarlo. Strabiliante!

È del 2014 la scoperta di un nuovo dipinto, con lo stesso soggetto di Giuditta e Oloferne, attribuito da alcuni critici proprio al Merisi. Si tratterebbe dell'opera che Caravaggio dipinse durante il suo soggiorno napoletano e che risultava scomparsa. Il presunto quadro è stato scoperto in una soffitta di una vecchia casa a Tolosa, durante i lavori per la rete idrica. L'opera era di proprietà dei discendenti di un ufficiale napoleonico. Si tratterebbe, anche se non tutti sono d'accordo, dell'originale della "Giuditta e Oloferne" che si trova a Palazzo Zevallos a Napoli, attribuito al pittore fiammingo Louis Finson. Cerchiamo ora di mettere un po' ordine a queste notizie!


Caravaggio (?), Louis Finson (?), "Giuditta e Oloferne", Francia

La "Giuditta e Oloferne" trovata in una soffitta a Tolosa, è stata identificata con la tavola che il Merisi avrebbe realizzato quando si trovava a Napoli, in un periodo che oscilla tra il 1602 e il 1610, quindi negli ultimi anni di vita. Compare la prima volta in una lettera inviata da Napoli a Vincenzo Gonzaga, duca di Mantova, da Ottavio Gentile (che doveva acquistare dei quadri per Vincenzo selezionandoli da alcuni dipinti del lascito di Matteo di Capua, principe di Conca). Quest'ultimo afferma di aver visto qualche quadro di Michelangelo Merisi in casa di un pittore fiammingo, anche se non dice il nome. Ritroviamo poi un secondo riferimento alla Giuditta in una lettera sempre inviata al duca di Mantova dal pittore fiammingo Frans Pourbus, per identificare i dipinti del principe di Conca. Pourbus dice di aver visto due bellissimi quadri di Caravaggio, da identificare con la "Madonna del Rosario" e con la "Giuditta e Oloferne" (l'uno è d'un rosario et era fatto per un'ancona [...] l'altro è un quadro mezzano da camera di mezze figure et è un Oliferno con Giuditta [...]). Molto importante è poi l'inventario di Louis Finson, redatto il 18 settembre 1617, dove si dice che tutti i suoi beni saranno lasciati al pittore fiammingo Abraham Vinck, compresi anche i due dipinti della "Madonna del Rosario" e della "Giuditta" citati poco fa. Questo pittore sappiamo che condivideva lo studio proprio con il Finson, da quando si era stabilito a Napoli, probabilmente già nel 1604. Sembra essere quasi certo che le tele viste da Ottavio Gentile e Pourbus si trovavano in vendita proprio nello studio dei due pittori fiamminghi. A questo punto è doveroso un breve "exscursus" sulla vita di Finson.

Louis Finson è un pittore fiammingo, nato a Bruges prima del 1580. La sua formazione artistica avvenne nella bottega del padre, Jacques Finson, che si formò negli anni Quaranta del Cinquecento nell'Ecole de Bogards e in seguito presso il pittore Ambrosius Benson. Jacques era un pittore di tessuti ma anche un pittore generico; fu anche membro della Gilda di San Luca, rivestendo delle cariche degne di nota. Scappò insieme al figlio dopo il 1585, per una guerra che portò la bella e fiorente cittadina di Bruges, in declino economico e culturale. Non si sa bene dove ripararono, alcuni dicono la Zelanda, la cosa certa è che nel 1605 Louis Finson si trovava a Napoli (si ha un buco temporale che va dal 1580 al 1605 e di cui non si sa nulla). Già in questo anno appare molto attivo a livello lavorativo; risultano infatti alcuni pagamenti per dei dipinti, tra cui un ritratto. È quasi certo quindi che il pittore fiammingo si trovasse a Napoli già anni prima, anche se i documenti rimasti non citano la sua presenza. E qui entra in causa l'altro pittore fiammingo Vinck, con cui divideva lo studio.

Louis si sarebbe mantenuto facendo il ritrattista, anche se i limitati dipinti rimasti, sono davvero pochi per capire come si sviluppò la sua carriera. Rimane un solo ritratto di uomo (che si trova oggi a Roma, all'Accademia di San Luca), che è di fattura mediocre.

Fino al 1610 sembra impossibile attribuire un quadro al Finson. Solo in questo anno è datata la "Resurrezione" di Aix-en-Provence, la "Toletta di Betsabea" e l'"Adamo ed Eva nel Paradiso terrestre". Di questo stesso periodo sono anche le copie di alcuni quadri di Caravaggio, tra cui proprio la "Giuditta e Oloferne" presa qui in esame.

È certo che tra il 1612 e il 1613 Finson e Vinck lasciarono Napoli (Finson andò in Provenza e Vincks tornò in patria), portando con sè i due dipinti di Caravaggio ("Madonna del Rosario" e "Giuditta e Oloferne"). Questi ultimi ricompariranno poi ad Amsterdam dove Finson si riunisce a Vincks e lo nomina suo erede. Dolo la morte di Finson, della "Giuditta e Oloferne" si perdono le tracce e dopo la morte di Vincks la "Madonna del rosario" viene comprata da un'unione di pittori fiamminghi (tra cui figurava anche Rubens), per collocarla su un altare di una chiesa domenicana ad Anversa.


"Giuditta e Oloferne", versione di Palazzo Zevallos a Napoli

Per quanto riguarda la datazione della "Giuditta e Oloferne" si crede che Caravaggio l'abbia dipinta prima di partire per Malta, quindi intorno al 1607. C'e infatti una grande somiglianza con il quadro della "Crocifissione di Sant'Andrea" (sempre del 1607) di Cleveland, in particolare nella vecchia con gozzo, molto simile all'anziana donna della "Giuditta e Oloferne". Si è pensato per questo che i due quadri siano stati realizzati a poca distanza tra loro.

Nonostante un tempo si ritenesse che la "Giuditta e Oloferne" di Palazzo Zevallos di Napoli fosse una copia di Artemisia Gentileschi, oggi si è più che certi che si tratti invece di una copia di Louis Finson che, tra l'altro come detto anche poco prima, era solito realizzare copie delle opere caravaggesche quando si trovava a Napoli (copiò anche la "Maddalena in estasi"). In realtà non tutti sono d'accordo. C'è chi, come Ferdinando Bologna, vede la "Giuditta e Oloferne" di Palazzo Zevallos una copia del Maestro dell'Emmaus di Pau, che poi si scoprì essere Giuseppe Porzio.

A questo punto ci si domanda in che modo Finson e Vinck siano venuti in possesso dei quadri di Caravaggio. Le risposte possono essere due: è stato il Merisi a venderle ai due pittori fiamminghi, oppure i due, appena comprate le tele, le hanno fatto passare come opere ricevute da Caravaggio, che stava salpando verso Malta.

In ogni caso procediamo ora con la descrizione del quadro di Tolosa, quello che la maggior parte della critica ha attribuito a Caravaggio. Lo scenario è molto simile alla prima versione che si trova a Roma. Qui però lo stile è cambiato. Oloferne è rappresentato sempre nel momento prima della morte. Giuditta è accompagnata dalla vecchia ed è dipinta nel momento di affondare la sua lunga lama nel collo del tiranno. In questo caso però Giuditta ci guarda, volta il suo viso verso gli spettatori. È maggiormente consapevole di quello che sta facendo e non ha più il volto corrucciato, quasi inorridito dal turpe gesto. Qui, nel quadro di Tolosa c'è una sicurezza che non si era vista nella prima versione, dove, pur nell'atto drammatico, si era data maggior importanza all'avvenenza di Giuditta (che inizialmente aveva i seni scoperti). Sicuramente rispecchia lo stato artistico del pittore, ormai più maturo artisticamente. Il tendaggio rosso fa sempre da quinta scenica e domina lo sfondo. L'esempio di Palazzo Zevallos, la copia del Finson è di una qualità leggermente inferiore e si allinea con gli altri quadri del pittore. Ricordiamo inoltre che Finson si firmò solo una volta, nel dipinto della "Maddalena" di Marsiglia. Quindi è davvero difficile stabilire dei confronti certi.

La cosa certa è che la questione è ancora aperta e i critici continueranno ad interrogarsi sull'autenticità della tela di Tolosa. Da almeno un anno inoltre la "Giuditta e Oloferne" francese è stata messa sul mercato. Il suo valore si aggira intorno ai 120 milioni di euro. Chissà quale museo o privato si aggiudicherà l'opera!


Michelangelo Merisi da Caravaggio, "Giuditta che decapita Oloferne", 1598-99, Palazzo Barberini, Roma

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