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Balie e bambini invadono il Museo di Villa Giulia: una mostra sulla maternità nell’Italia antica


Donne, bambini, maternità, dolcezza, archeologia, Italia antica…tutto questo lo si può trovare in questi giorni a Roma in una mostra attiva fino al 2 giugno.

La mostra si intitola “Maternità e allattamento nell’Italia antica” e la cornice in cui la si può ammirare è quella suggestiva del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, Sala di Venere.

Al centro di tutto la donna. Al centro di tutto i bambini.

I temi della maternità e dell’allattamento nel mondo antico, etrusco e romano, vengono esplorati attraverso un approccio antropologico in cui perno di tutto è l’uomo stesso: non ipotesi campate in aria ma ricostruzioni verosimili basate su prove concrete.

Il tutto per dare al visitatore gli strumenti per ritrovare un legame indissolubile tra presente e passato!

I bambini durante la loro crescita appaiono avvolti in un bozzolo di cure dedicate sia dalle madri sia da altre figure, soprattutto femminili, e quello che all’interno della mostra è stato scelto per mostrare questo mondo di attenzioni è molto particolare. Non ci sono “grandi capolavori da museo”, ci sono “piccoli” votivi, piccole testimonianze e oggetti della vita quotidiana dei nostri antenati. Ci sono reperti che hanno finalmente lasciato il deposito del museo, restaurati, e che ci raccontano la loro storia: tracce visibili di credenze, speranze, usanze e amore, le quali invitano alla riflessione.

La maternità nel mondo etrusco e romano viene analizzata da un nuovo punto di vista, non quello della madre ma quello delle invisibili e affaccendate figure che gravitavano attorno al bambino e si prendevano cura di lui dalla nascita fino al raggiungimento dell’età adulta.



Le fonti scritte hanno lasciato poco su queste silenziose figure, per lo più testimonianze di autori maschi: le informazioni riguardanti donne e bambini nel loro quotidiano non interessavano particolarmente…ma un aiuto arriva dall’archeologia, dalle cosiddette kourotrophoi, statuette votive di donne con bambini diffuse in tutto il Mediterraneo antico! E un’ulteriore particolare tipologia non attestata altrove, compare nel Lazio e nell’Etruria meridionale nella forma di statuette con una coppia con bambino.

Due donne o un uomo e una donna, queste statuette ci raccontano qualcosa che non sapevamo, la storia di quanto i bambini nell’antichità fossero amati e considerati importanti nonostante non se ne parlasse spesso.

Ma chi era dunque questa figura che, silenziosa, gravitava attorno al bambino e se ne prendeva cura come una madre?

Era la nutrice o nutrix o mamma e affiancava la madre del bambino dal periodo del concepimento fino al raggiungimento dell’età adulta del figlio. La sua presenza era molto comune nell’antica Roma, specialmente, ma non solo, nelle famiglie agiate, e generalmente era una schiava.

La presenza di schiave pagate che venivano scelte spesso a caso per prendersi cura del bambino appena nato al posto della madre biologica veniva vista da Tacito come un segno della decadenza morale dei suoi tempi, al contrario di quanto invece accadeva in alcuni popoli barbari, come i Germani, in cui era solo la madre a occuparsi del proprio figlio.

Per alcuni era un modo da parte delle famiglie più ricche di affermare il proprio status, evitando al contempo alle matrone di affrontare il duro lavoro dell’allevare i figli, mentre altri giustificavano le balie nel caso queste fossero più robuste della madre e avessero più latte…ma, secondo gli studi più recenti, il motivo più profondo poteva essere un altro.

Affidare i propri bambini a delle balie era una strategia, un modo per non fare attaccare troppo la madre a un figlio che poteva morire da un momento all’altro, un modo per cercare di contrastare i rischi emotivi legati alla perdita in un periodo in cui la mortalità infantile era elevata.

E non dobbiamo dimenticare che molto spesso le donne morivano di parto.

Ecco allora che la presenza delle balie non ci appare più come un segno di disinteresse e indifferenza da parte delle famiglie romane ed etrusche nei confronti dei figli ma un modo per proteggere i propri figli e se stessi, un modo per dare a un bambino senza genitori o con genitori con problemi, una persona con cui crescere e su cui fare affidamento.

L’affetto c’era, era presente, era tangibile.


La famiglia cercava di trovare una persona adeguata a cui affidare i propri figli e tale persona prometteva formalmente di accudire il bambino in casa propria, di non giacere con altri uomini, di non restare incinta rovinando il proprio latte, il tutto dietro pagamento mensile in denaro e con forniture di vestiti e alimenti.

Un legame veniva a instaurarsi tra bambino a balia, un legame fondamentale per la prima formazione, un legame in cui una prima educazione veniva fornita e in cui le bambine venivano custodite prima fino al matrimonio.

Ma il ruolo di balia non era esclusivamente femminile. La cosiddetta tata era un uomo che affiancava la nutrice nella primissima infanzia e spesso tata e mamma comparivano sulle epigrafi funerarie in compagnia dei genitori biologici e per piangere bambini morti prematuramente.

Come può una cura così attenta far pensare a un’indifferenza dei Romani nei confronti dei propri figli?

Circondati da tante figure gli stessi figli crescevano amati e questo amore lo possiamo ancora oggi vedere nei piccoli reperti esposti nella mostra al Museo Etrusco.

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