Di Federica Pagliarini
Robert Morris, esponente di spicco della "minimal art", è il protagonista di una mostra-commemorazione alla GNAM (Galleria d'Arte Moderna di Roma) fino al 1°marzo. L'artista è morto nel novembre 2018, all'età di ottantasette anni, ma dal 2015 stava progettando la mostra che oggi possiamo ammirare.
Partiamo dal titolo Monumentum. Da cosa deriva questa parola? Dalle parole monumento e momento. Si pone l'accento sull'istante, sul momento decisivo.
L'idea di Morris partiva dall'intento di installare, in un grande ambiente, che è appunto il salone d'ingresso della Galleria, le due serie scultoree Boustrophedons e MOLTINGSEXOSKELETONSSHROUDS, mai viste prima in Europa. L'artista è poi morto improvvisamente ma la sua volontà è stata mantenuta, divenendo così una mostra commemorativa.
Appena si entra nel salone centrale siamo come spaesati. Figure nere, scure fluttuano nell'aria, in pose acrobatiche. Sono incappucciate, non vediamo il volto, ma la loro presenza è quasi "maligna". Le loro pose sono state fermate in un attimo preciso, i mantelli sono alzati e giocano con la forza di gravità.
Il procedimento di cui si è servito Morris è quello dell'impronta. Tutte le sue sculture sono state create da un calco. La tela è stata imbevuta di resina epossidica trasparente che, essiccandosi, è diventata autoportante. In questo modo il modello su cui si è fatto il calco viene rimosso e Morris pone le sculture nel vuoto, ora sono diventate un a sé stante.
Si parla di duplicazione meccanica degli oggetti, abbandonando così le nozioni classiche di autore, opera e significato. Le sculture diventano delle "sindoni" tridimensionali che fanno capire che prima di loro c'era un modello, una traccia, una figura, che non vediamo più; ora c'è solo il suo negativo. Si può quindi parlare di impronta che mostra l'apparire e alla stesso tempo la sua sparizione.
La serie MOLTINGSEXOSKELETONSSHROUDS è stata realizzata tra il 2014 e il 2015. Le figure sono state create con la tecnica del calco. Alcuni manichini sono stati coperti da drappeggi di lino imbevuti con della resina. Una volta che i manichini sono stati tolti, il lino è diventato rigido, secco, quasi la pelle della figura. Il nome della serie deriva dagli esoscheletri degli insetti e dalla pelle del serpente che fa la muta.
Nella serie Boustrophedons realizzata nel 2018, viene usata la fibra di carbonio, materiale solido e leggero, usato per realizzare macchine da corsa e aerei molto sofisticati. Una volta che la fibra di carbonio viene immersa nella resina epossidica, diventa lucida, talmente nera da fare quasi paura.
Il nome dato alla serie si rifà all'andamento della scrittura delle tavolette greche, dove una riga è scritta da sinistra a destra e quella dopo in senso opposto.
La cosa stupefacente è che tutte queste sculture-impronta riecheggiano artisti de passato. Viene subito alla mente la drammaticità di Niccolò Dell'Arca che, a Bologna, nella chiesa di Santa Maria della Vita, ha realizzato la serie scultorea con il "Compianto sul Cristo morto". Ma Morris ha riecheggiato anche Bernini, Pollock, Goya, tutti artisti che amava e con cui si è confrontato in anni passati.
Come scritto all'inizio, queste serie scultoree non erano mai state viste in Europa. Morris le espose solo alla Galleria Castelli di New York, quando aveva ottantaquattro anni e la morte iniziava ad essere un pensiero fisso, proprio perché l'età era ormai avanzata. Perché le sue scultore in lino o fibra di carbonio, imbevute di resina epossidica, riecheggiano anche la morte, prepotentemente.
[Le foto sono state scattate personalmente alla mostra]
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