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Giorgione e i suoi quadri "senza soggetto"

La Tempesta (1502-1503) di Giorgione. Uno dei quadri più emblematici del Cinquecento veneto, un dipinto che essenzialmente non rappresenta nulla, tanto da essere stato definito un quadro senza soggetto.

Gli studiosi, critici d'arte e soprattutto gli iconologi, si sono a lungo dibattuti sul suo significato. Un uomo in piedi poggiato su un lungo bastone, una donna seduta mezza nuda, con in braccio un bambino, dietro di loro un fulmine che fende il cielo e che preannuncia una tempesta.

Giorgione però, il cui vero nome è Giorgio da Castelfranco (1478-1510) era solito dipingere quadri il cui soggetto sembrava non chiaro. Basti pensare all'opera I Tre filosofi (1506-1508) dove i tre personaggi rappresentati non sembrano rappresentare una tipologia definita di persona. Tante anche qui le interpretazioni, chi li vedeva come i re Magi, chi come tre filosofi rappresentanti le tre epoche della storia filosofica e chi le tre età dell'uomo. In ogni caso un'interpretazione certa non esiste e probabilmente non verrà mai trovata, almeno che non venga alla luce qualche nuovo documento di archivio che possa chiarire questo enigma. Tenendo conto però, che la vita di Giorgione è molto oscura, conosciamo poco anche della sua prima formazione, l'ipotesi è alquanto improbabile. Dobbiamo avvalerci soltanto dei nostri studi storici e artistici.

Il fatto che i quadri di Giorgione, soprattutto questi due, non abbiano un vero e proprio soggetto e siano alquanto misteriosi, ci fa capire come stava cambiando la figura dell'artista in questo periodo.

Per secoli realizzava quadri su commissione e si atteneva alle direttive imposte dalla committenza, ora invece produce quadri spontaneamente. Si può affermare con una certa certezza che Giorgione non abbia realizzato questi quadri per qualcuno in particolare, ma soltanto per proprio gusto personale e per venderli poi a qualche acquirente. Al committente si è sostituito il compratore. Il vecchio schema del committente che era l'autore del programma e l'artista che realizzava le sue “volontà” si è distorto. Il committente paga senza chiedere niente di preciso, il letterato suggerisce e l'artista leggendo testi storici e filosofici, trasferisce sulla tela. Ma la cosa non deve stupire, infatti già Michelangelo mentre si trovava a Firenze alla corte dei Medici, aveva realizzato delle sculture senza committenza, perché pensava e sapeva di poterle venderle a chiunque fosse stato interessato all'acquisto di una bella scultura.

Anche Vasari nelle sue Vite ha grandi difficoltà a capire i soggetti dei quadri del Giorgione, sintomo che anche all'epoca della loro realizzazione, il pittore era già un enigma. Non per niente Giorgione sarà l'artista più amato e studiato dagli iconologi.

La Tempesta viene citata per la prima volta nella Notizia di opere di disegno di Marcantonio Michiel (1530) e viene registrata in casa di Gabriele Vendramin a Venezia. Nell'inventario della sua collezione però non si parla di una tempesta. Dopo il 1569, il primo a ricordare il quadro è Burckhardt nel Cicerone (1855) dicendo che la Tempesta si trovava a Palazzo Monfrin. Nel 1932 il quadro venne acquistato dalla Stato Italiano e passò alle Gallerie dell'Accademia di Venezia.

Importante è la radiografia eseguita sul quadro nel 1939 (venne fatta anche sulla tela dei I Tre Filosofi) che portò alla scoperta di una variante importante nella prima versione: una bagnante al posto dell'uomo. L'interpretazione del Morassi sosteneva l'ipotesi della storia di Paride allattato dalla moglie del pastore, perché la figura del pastore poteva essere sostituita da una compagna della nutrice. Per Lionello Venturi invece la radiografia dimostrava e confermava che il quadro non aveva soggetto. A mio modesto parere, potrebbe dimostrare un cambiamento radicale del soggetto. Magari il committente, se ce ne era uno, aveva cambiato le sue intenzioni, oppure se Giorgione stesso aveva ideato il quadro, decise di cambiare le sue idee iniziali per parlare di qualcos'altro.

Le interpretazioni date dagli studiosi sono quindi tra le più disparate. Mi limiterò qui a parlare delle più suggestive fino ad arrivare all'interpretazione che secondo me è la più plausibile.

La prima interpretazione data da Maurizio Calvesi ritiene che la Tempesta rappresenterebbe la storia della leggenda ebraica di Mosè, ritrovato da Bitia, figlia del Faraone, che lo allatta davanti ad un guardiano. Secondo però un'altra versione della storia, Mosè è figlio di Bitia (quindi non più un trovatello nelle acque del Nilo) e come egiziano, è nipote del Faraone, iniziato ai misteri di Osiride. L'iniziazione è indicata dall'allattamento. Il guardiano è Ermete Trismegisto (ma secondo altri l'Arcangelo Gabriele). La tempesta sullo sfondo sarebbe opera di Mosè come mago e profeta, che fa finire la siccità e l'idolatria per far cominciare la Grazia.

Calvesi da anche una seconda interpretazione . La donna che allatta prefigurerebbe la Terra, il bambino ciò che ne è generato e l'uomo la personificazione del cielo, in particolare Mercurio, con il suo bastone simbolo del sesso maschile. La città sullo sfondo, che secondo Calvesi è ispirato al famoso mosaico di Palestrina, indicherebbe l'Egitto, luogo delle dottrine ermetiche e città fondata da Ermete Trismegisto. Le rovine indicano l'antica sapienza mercuriale e le colline con il fiume rappresentano la salita e la discesa di umori liquidi, aerei e del fuoco.

Secondo lo studioso Stefanini in un'interpretazione data nel 1941, il quadro rappresenterebbe un parallelo con l'Hypnerotomachia Poliphili, di cui tanto aveva parlato e studiato Maurizio Calvesi e su cui anch'io ho svolto una parte dei miei studi universitari interessandomene molto. Questo testo è stato scritto da Francesco Colonna e pubblicato nel 1499 dall'editore veneziano Aldo Manuzio. Le due tesi che ancora oggi si scontrano sono sull'identità di Francesco Colonna, dato che nello stesso periodo, ne sono esistiti due: Francesco Colonna romano signore di Palestrina (tesi sostenuta da Calvesi) e Francesco Colonna frate veneto (tesi sostenuta dal Pozzi). Stando all'ipotesi dello Stefanini, di un'interpretazione “polifilesca” del quadro, si potrebbe azzardare a dire che il testo dell'”Hypnerotomachia” sia stato redatto dal frate veneto. Giorgione era veneto e potrebbe aver letto il testo proprio pochi anni prima della realizzazione del quadro. Ma qui ci imbatteremmo in altre questioni che non è il caso di trattare adesso dato che porterebbero ad una lungo dibattito.

Quindi, tornando a questa interpretazione, la scena del quadro rappresenterebbe l'”orto del destino”, il contrasto tra i ruderi e la vegetazione: la vita rinascente sulle rovine. Questo è un tema ricorrente nel Polifilo. Le colonne spezzate in primo piano, alluderebbero al cognome dell'autore: Francesco Colonna e alla sua triste storia infranta perché non si è realizzato il suo sogno d'amore (la storia parla del protagonista Polifilo che cerca di andare dalla sua amata Polia). La cupola sullo sfondo è il Tempio di Venere. Venere è la donna che allatta il bambino, Polifilo è l'uomo con il bastone.

Secondo Eugenio Battisti invece, il soggetto della Tempesta rappresenterebbe Mercurio e Iside. Si parla della storia d'amore di Giove con una ninfa, forse Io, figlia del fiume Inaco e identificata a volte con Iside. Iside sarebbe quindi la donna con il bambino, Epafo, figlio suo e di Giove. L'uomo con la verga è Mercurio mandato da Giove a liberarla dopo che Giunone l'aveva trasformata in giovenca e affidata ad Argo.

L'interpretazione che, secondo me, è quella più credibile, è la rappresentazione di Adamo ed Eva dopo la Cacciata dal Paradiso. Adamo sarebbe rappresentato con il bastone perché prefigura il lavoro a cui Dio lo aveva condannato come punizione per aver mangiato il frutto proibito. Eva è invece rappresentata mentre allatta il primo figlio, conseguenza delle fatiche del parto che avrebbe dovuto patire anche lei come punizione. Il ponte e il fulmine che lo sovrasta, collega la ragione abitata da Adamo ed Eva a una città turrita con alberi e colonne. Questa città, secondo una lunga tradizione, è l'Eden, che veniva rappresentato come “civitas”. Come si è detto poco fa, nella prima versione, la radiografia ha svelato una bagnate al posto dell'uomo. Questa poteva indicare sempre Eva che si purificava nelle acque del Tigri dopo aver peccato. Quindi sarebbero state rappresentati due momenti diversi nella stessa scena. L'unica cosa che non si comprende è come mai non fosse stato raffigurato anche Adamo mentre si immergeva per purificarsi dal peccato.

Come ho cercato di evidenziare, le teorie iconografiche fatte sul quadro sono tantissime. Io ne ho elencate alcune, sia per non rendere l'articolo troppo lungo, sia per non annoiare il lettore con interpretazioni troppo addentrate nella materia. Tutte queste teorie però, fanno capire come gli studi iconografici siano stati e sono ancora importantissimi per scoprire tematiche oscure in molti quadri di arte moderna.

Federica Pagliarini

La "Tempesta" di Giorgione

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