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Ai Wei Wei torna a Praga con un'altra opera provocatoria


Ai Wei Wei ha colpito ancora. Dopo la mostra a Palazzo Strozzi a Firenze, qualche mese fa, con i famosi gommoni appesi alle finestre, l’artista cinese torna a Praga a far parlare di sé. La tematica è sempre legata al mondo dei profughi e alla loro condizione di “isolati dal mondo”. Sicuramente l’artista sente molto vicino questo problema, essendo anche lui scappato dal regime comunista in Cina. In un’intervista di qualche mese fa, su “Artedossier”, raccontò la sua condizione, quella della sua famiglia, in una Cina che non permetteva libertà di pensiero e libertà di vita. Il padre, che era un poeta e per questo avversato dal regime, dichiarato “triplo criminale”, è stato spedito ai lavori forzati nei campi di Beidahuang quando Ai Wei Wei aveva solo un anno. Sopporterà anche l’esilio a Shihezi nel 1961. Solo nel 1976, dopo la morte di Mao Zedong e la nascita della rivoluzione culturale, tutta la famiglia tornerà a vivere a Beijing (città natale dell’artista). Scapperà però in America, insieme al padre, per cercare una vita normale, senza un regime che tiene sotto il suo potere milioni di persone. Anche qui però le cose non sono state delle più facili. La difficoltà ad integrarsi e ad essere accettato nella vita americana sarà dura, ma Ai Wei Wei ce la farà e diventerà uno degli artisti attivisti più importanti sul piano internazionale per il suo dissenso verso il comunismo cinese. La sua è una battaglia per i diritti umani, lui che ha vissuto la condizione del “diverso” per molto tempo.

E non è un caso che i profughi siano la tematica più importante. Come abbiamo detto prima, i gommoni a Palazzo Strozzi sono quanto mai attuali. Appesi a coprire le finestre a bifora del palazzo, sono arancioni come il colore dei giubbotti di salvataggio usati dai migranti. Per capire la piena attività dell’artista nel far valere i diritti umani, basti pensare ad un’altra opera esposta sempre a Firenze: un gigantesco serpente fatto con gli zaini dei 360 bambini che persero la vita in un terremoto nel Sichuan nel 2008. La sua era un’opera di denuncia, voleva evidenziare le costruzioni inadeguate delle scuole. Questo diede inizio al suo pedinamento da parte del regime cinese. Riuscirono a fermarlo e a torturarlo quasi fino alla morte. Il regime non vuole informare e la maggior parte del popolo cinese non sa e non vuole sapere.

Nel febbraio del 2016 allestì un’altra opera provocatoria a Berlino. 14.000 giubbotti salvagente utilizzati dai profughi attaccati sulle colonne della Konzerthaus della capitale tedesca.

Torna adesso, a marzo, a Praga alla Národní Galerie con un’installazione di 70 metri formata da profughi gonfiabili, intitolata “Law of the Journey” (la legge del viaggio). La mostra comincerà domani, 17 marzo e sarà visibile fino al 7 gennaio 2018. Opera attualissima, perché vuole scagliarsi contro le vicende odierne delle leggi sui migranti. Proprio la Repubblica Ceca è scettica ad accettare i profughi che vengono dall’Italia e dalla Grecia, e non vogliono così approvare il programma europeo di trasferimento dei rifugiati.

Queste le parole di Ai Wei Wei: “In questi tempi di incertezza, abbiamo bisogno di più tolleranza, compassione e fiducia nel prossimo, altrimenti l’umanità dovrà affrontare una crisi ancora più grande… Non esiste una crisi dei rifugiati, esiste solo una crisi umana”.

Alla faccia di chi dice che l’arte non si interessa più alla politica. Ai Wei Wei dà la prova che non è così.





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