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Salvador Dalì e il cortometraggio "Destino"


Salvator Dalì, è una delle personalità più importanti e conosciute del surrealismo. I suoi quadri hanno ammaliato il pubblico e continuano a farlo tutt’ora. I suoi paesaggi fantastici, tra sogno e realtà, surreali appunto, sono da sempre il suo marchio di fabbrica. Sono molto vicini ad un suo collega, sempre surrealista, Yves Tanguy, con i suoi paesaggi onirici, ancora più forti e ipnotici di quelli di Dalì.. Purtroppo su di lui i libri d’arte, soprattutto i manuali, ne danno poco peso, sbagliando a mio parere. Ho visto due quadri del pittore francese nella mia vita: uno alla mostra della Collezione Guggheneim alle Scuderie del Quirinale a Roma e uno alla Collezione Guggheneim di Venezia. Quadri piccoli, ,ma di grande intensità.

Tornando a Dalì, vorrei soffermarmi su un aspetto forse trattato poco o in modo minore rispetto alla sua biografia oe alle sue opere più famose. Sto parlando del cortometraggio “Destino” che ha realizzato con la Disney. L’incontro avvenne nel 1945. Dalì in quel periodo stava già negli Stati Uniti e l’incontro fu quindi più semplice. Dopo il successo del film “Fantasia”, dove c’era l’assenza di voce, ma solo l’inserimento della musica e di figure in movimento, Disney voleva continuare su questa scia. Voleva creare lungometraggi formati da episodi diversi, ognuno di circa sei minuti, indipendenti tra loro. Anche qui la peculiarità era l’assenza di dialoghi e la presenza di sola musica che collegava tutto insieme.il tutto. Il loro primo contatto avvenne però nel 1936 al “MOMA” di New York con la mostra “Fantastic Art, Dada and Surrealism” che esponeva i lavori di Dalì e alcune testimonianze della “Silly Symphony” Three Little Wolves” (i tre porcellini e i tre lupetti).

L’incontro, come abbiamo detto, avvenne nel 1945 quando sia Dalì che Walt Disney vennero invitati al party organizzato dal produttore Jack Warner. Dal loro incontro nasce il progetto del cortometraggio “Destiny”. E’ una storia di una ragazza che cerca l’amore, presentata da Dalì come un labirinto nel tempo. Dalìn accetta questo compito perché vede nel mezzo cinematografico un elemento ulteriore per espandere la propria visione utopica, immaginifica e surreale.

Dalì lavora al progetto per otto mesi ininterrotti. Durante questo periodo abbiamo anche degli anedotti simpatici riguardanti il nostro bizzarro artista. Doveva realizzare una scena che aveva come soggetti dei cigni, ispirata ai soggetti di “Leda e il cigno”. Per soddisfare le sue richieste viene fatto arrivare un cigno, trasportandolo addirittura in auto. Quando poi Dalì tornò in Spagna, portò con sé anche il cigno, che lo salvò in una brutta situazione. Purtroppo, dopo questi otto mesi di intenso lavoro, il progetto di “Destino” non viene portato a termine, forse per problemi economici, a causa della fine della seconda guerra mondiale. Il progetto sarà poi portato a termine solo nel 2003. Il progetto viene ripreso nel 1999, quando si sta realizzando “Fantasia 2000” e il nipote di Walt Disney, Roy, riscopre il cortometraggio “Destino”. Così ci si rimise a lavoro e si cercò di decifrare i messaggi nascsti che Dalì aveva lasciato nei suoi disegni. Venne prodotto da Baker Bloodworth e diretto dall’animatore francese Dominique Monfrey. Il pubblico lo vide per la prima volta il 2 giugno 2003 in occasione del festival internazionale del film d’animazione di Annecy.

L’idea di Dalì, prima che il lavoro fosse interrotto, era quella di divulgare il surrealismo al di fuori dell’ambito artistico. La sua idea era quella di un prologo in cui oltre a personaggi in carne ed ossa sarebbe comparso lui stesso per spiegare i simboli surrealisti che comparivamo nel film. Un’idea innovativa e oserei dire didattica. Tra i disegni rimasti, si è conservato quello che doveva fare da scenografia della scena, ossia un anfiteatro in rovina con nicchie vuote che avrebbero dovuto ospitare statue surrealiste, spiegate una per una. Ovviamente nel 2003, quando si decise di riprendere il progetto, si scartò questa idea, anche perché si cercò di interpretare i suoi disegni e bozzetti. Di conseguenza non c’è né un prologo né un epilogo. I personaggi non sono reali e l’interpretazione è lasciata a chi guarda. E’ stato lasciato però un piccolo spezzone di 15 secondi, verso la fine del film, dove vediamo due ritratti surrealisti di Dalì e Walt Disny sorretti da due tartarughe. I due animali camminano lentamente verso di loro fino a far combaciare le teste nello spazio negativo rimasto, generando la figura della ballerina protagonista del film. Questa è un scena che rappresenta un esempio d’animazione applicata al surrealismo daliniano.

La storia parla di una donna che, davanti ad una serie di difficoltà, riesce a trovare l’amore. Lo sfondo delle scene sono i tipici paesaggi di Dalì, quelli che vediamo in quasi tutte le sue opere, come il famoso quadro “La persistenza della memoria”. E’ una landa sconfinata, di cui non vede la fine, deserta, sotto un cielo limpido. La cosa interessante è che il paesaggio non funge solo da quinto scenica, ma diventa protagonista vero e proprio ed è un simbolo di uno stato psicologico. All’inizio del film vediamo invece un monumento piramidale con la statua di Crono, il dio tempo, con il suo orologio. E come sappiamo, il tempo, è sempre stato uno dei principali protagonisti dei suoi quadri. Alla base della piramide c’è una testa di Medusa, dalla cui bocca esce acqua, che si riversa in una conchiglia e poi in una vasca. La fontana in questo caso indica l’elemento femminile e la piramide e la torre (che compare dopo nel cortometraggio) simboleggia l’elemento maschile. I due elementi appaiono sempre uniti e questa unione verrà confermata ulteriormente nel finale, dove una fessura nel cuore della statua di Crono fa apparire una campana che ha la forma della ballerina.

Un altro elemento dove si abbina maschile e femminile è il percorso a spirale che la donna percorre durante il film. Arretrando l’inquadratura si vede che quel percorso era un grande torso femminile ed ha origine da una torre di Babele molto simile a quella dipinta dal pittore Pieter Brueghel. Il sentiero è simbolo del percorso della vita e le statue che incontra la donna percorrendolo, non sono altro che le difficoltà che si incontrano durante la propria esistenza. Interessante è il momento in cui la donna rimane intrappolata con il vestito da un dito puntato da un grande occhio. Si rifugerà poi nuda dentro una conchiglia. Il dito che punta è indicatore della società che giudica ogni cosa. E ancora più interessante è vedere come la scena della donna che si rifugia in una conchiglia, è stata ripresa da un quadro di Giovanni Bellini “La menzogna” dalla serie delle “Quattro allegorie”. IL momento in cui la conchiglia cade è stato invece aggiunto nel 2003 per far proseguire la storia e pensando come l’avrebbe fatta Dalì. Alla fine anche il personaggio maschile si anima e cerca l’amore della ragazza.

Tipici del genio di Dalì sono i paesaggi che sembrano una cosa quando in realtà ne sono un’altra oppure che assumono sembianze umane (un esempio le formiche che diventano ciclisti).

Speriamo che le aggiunte fatte nel cortometraggio siano state pensate in linea con quelle che avrebbe realizzato Dalì, ma dal successo avuto sul grande pubblico pensiamo proprio di sì.

Federica Pagliarini

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