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Munch e la sofferenza universale

Ricorre oggi la morte di Edward Munch: il 23 gennaio 1944. Anticipatore dell’espressionismo tedesco e del nord-Europa, è sempre stata una figura complessa, vessata da problemi personali non di poco conto. Nasce a Loten in una fattoria norvegese nel 1863. E’ il secondo di cinque figli: Sophie, Andreas, Laura e Inger. Già un anno dopo, tutta la famiglia si trasferisce ad Oslo. Nel 1868 iniziano le numerose morti che per sempre segneranno la personalità del pittore. Muore infatti la madre di tubercolosi, dopo la nascita dell’ultima figlia. Sarà la sorella maggiore d’ora in avanti a prendersi cura della casa. Poco dopo muore Sophie, la sorella a cui Munch era più legato. Questo evento, dopo la morte della madre, comincerà a scatenare in lui un’angoscia e malinconia che lo accompagneranno per tutta la vita.

Durante questi lutti, decide di dedicarsi alla pittura e scultura a diciassette anni. Nel 1883 parteciperà alla collettiva del Salone delle arti decorative di Christiania (poi diventerà Oslo) e qui conosce l’avanguardia dei pittori norvegesi. Due anni dopo va a Parigi e rimane affascinato da Manet.

Inutile sottolineare la violenza espressiva dei quadri di Munch, conosciuta in tutto il mondo. I vari lutti e i problemi di famiglia, si riversano sulla pittura, portatrice di angoscia e tristezza. Due sono i quadri che dipingerà in seguito alla morte della sorella: “La bambina malata” e “La morte nella stanza della malata”. Del primo quadro, Munch realizzerà varie versioni, anche litografie (come farà anche con “L’urlo”). Una bambina è seduta su un letto, mentre la madre è inginocchiata davanti a lei e prega il destino che non le porti via la figlia. L’angoscia è nell’aria. I colori scuri, i volti non ben definiti, sono già i marchi di fabbrica dell’artista norvegese. E non è ancora nulla. Le atmosfere intrise d’agonia si vedono meglio in quadri come “L’urlo” o “Il grido” che dir si voglia. Il più famoso delle opere di Munch. Il dipinto è del 1893 e vede una figura, di cui non si comprende il sesso, che esterna la sua angoscia con un urlo mentre cammina su un ponte. Sembra che le grida si stiano propagando nelle linee ondulate del paesaggio dietro di lui. Il cielo è rosso, stiamo al tramonto e due piccole figurine camminano impassibili in fondo al ponte. L’angoscia non li ha colpiti e non sono partecipi del dolore dell’uomo. Bellissimo e chiarificatore è il racconto stesso dell’artista sul quadro.

“Camminavo lungo la strada con due amici-quando il sole tramontò. I cieli diventarono improvvisamente rosso sangue e percepii un brivido di tristezza. Un dolore lancinante al petto. Mi fermai-mi appoggiai al parapetto, in preda a una stanchezza mortale. Lingue di fiamma come sangue coprivano il fiordo neroblu e la città. I miei amici continuarono a camminare-e io fui lasciato tremante di paura. E sentii un immenso urlo infinito attraversare la natura.” Con queste parole, comprendiamo subito che la scena del quadro rappresenta un momento della vita di Munch. La figura sformata e ondulata in primo piano è lui stesso e i due uomini dietro di lui, gli amici, incuranti di quello che gli sta succedendo. Un quadro di simile ambientazione è “Angoscia”, che già dal titolo evidenzia tutto. Il cielo è identico a quello dell’”Urlo”: rosso sangue ed invade la scena. Qui però il dolore cosmico che prima colpiva un solo individuo, colpisce una folla di persone. Vediamo infatti tante figure camminare sul ponte con i volti allungati ed emaciati dalla tristezza che attanaglia il mondo.

Ma tutti i suoi quadri sono pieni di questi sentimenti importanti, forti e tristi. Anche un bacio appassionato tra due amanti, diventa tetro. Il titolo è appunto “Il bacio” (1897) in cui due amanti si baciano e si abbracciano. L’atmosfera non è però allegra (come poteva essere “Il bacio” di Hayez o quello di Klimt). L’uomo e la donna sembrano essere un tutt’uno; non si distinguono infatti i due corpi e lo sfondo è cupo, nero, triste. Anche le pennellate usate sono rapide, grandi, quasi campiture di colore puro, senza definizione dei contorni, che dà al quadro una valenza negativa.

Sono pochi i dipinti che non trasmettono angoscia e tristezza. Uno di questi si intitola “Notte stellata” (1922-24) e si capisce subito il richiamo al quadro omonimo di Van Gogh, realizzato anni prima. Forse è questo l’unico quadro dove l’angoscia è quasi sparita. I colori blu, verde, violetto e giallo del cielo e del paesaggio, creano un senso di tranquillità, sconosciuto nelle prime opere dell’artista.

Tante di queste opere finirono in una mostra personale dell’artista, che venne però dichiarata scandalosa e fatta chiudere dopo pochi giorni. La mostra diventò però famosa e fece il giro delle maggiori città d’Europa. Munch si stava facendo conoscere dalle avanguardie pittoriche e il suo stile inconfondibile non sarà mai più dimenticato.

Dopo questo periodo vivrà molto a Berlino, ma anche a Parigi e fece un viaggio in Italia. Comincerà ad avere dei crolli nervosi che lo porteranno molto spesso ad essere ricoverato. Nel mentre sarà chiamato a decorare la sala del Municipio di Oslo, anche se una malattia agli occhi lo fermerà molto presto.

Dal 1936 esporrà a Londra e poi negli Stati Uniti. Quando ci fu poi lo scoppio della guerra e una nave tedesca esplose vicino al suo atelier ad Oslo, troppo preoccupato per i suoi quadri, trascurerà una polmonite a causa della quale morirà. Tutte le sue opere, grazie ad un suo testamento, saranno lasciate al Oslo. Nel 1949 si istituirà un museo dedicato all’artista e tutte i quadri saranno conservati lì dentro. Oggi invece gran parte delle sue opere sono esposte alla Galleria nazionale della città e il Museo di Munch ha solo pochi esemplari, a causa dei numerosi furti subiti dall’”Urlo” in questi anni.

Una curiosità. Dal 1916 Munch andò a vivere in una tenuta di Ekely, circondata da un vasta terreno vicino Oslo. Ci trascorse il resto della vita in totale isolamento e in totale pazzia. Si dice infatti che fosse solito andare in giro nudo per casa, in quanto gli provocava un senso di libertà personale e nel dipingere.

Non si può non notare un parallelismo delle opere di Munch con le filosofie di inizio novecento. Basti citare la filosofia esistenzialista di Kierkegaard, ma anche i drammi di Ibsen (per cui l’artista lavorò per un periodo) e di Strindberg. La visione della morte è stata sicuramente permeata dalle loro letture.

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